Stanislaw Lem (Leopoli 1921-Cracovia 2006) famoso per i suoi romanzi di fantascienza, il più conosciuto dei quali è Solaris, aveva composto una trilogia dal nome evocativo di “Il tempo non perduto”, dei tre libri però due li rifiuterà (Tra i morti e Il ritorno), mentre nutrirà sempre un attaccamento particolare soltanto per il primo, L’ospedale dei dannati. In un ospedale psichiatrico sito tra il verde delle campagne polacche, i medici che vi lavorano vivono, insieme ai degenti, in una sorta di prigione dorata, lontani dai rumori e dalla vita di società, e tuttavia ricostruiscono in quel piccolo mondo tutti i meccanismi dell’esterno, comprese le violenze gratuite e la meschinità a buon mercato, finché non verranno raggiunti dalla ferocia senza scrupoli della guerra, sospinta dai venti nazisti, riunendo così microcosmo e macrocosmo nel solito calderone dell’umanità.
La pubblicazione del libro fu ostacolata a lungo dalla censura polacca e pur essendo finito già nel 1948 è stato necessario arrivare fino al 1955 per darlo alle stampe. I censori non gradivano la descrizione degli orrori della guerra e di sicuro nemmeno il tocco di realismo con il quale Lem descrive le condizioni in cui vivevano i malati (alcuni seminudi, altri in stato d’abbandono, altri ancora sporchi e denutriti) gli infermieri violenti e poco inclini alla pietà, i medici tra lo stralunato e il sadico che più che ai propri pazienti sembrano interessati alle proprie ricerche e ad esperimenti crudeli (che ricordano quelli dei “famosi” medici nazisti dei lager) il tutto immerso in un’aria da castello kafkiano sospeso tra la realtà e le brume oniriche.
Quando ebbero superato la cima più alta, la via maestra imboccò un tratto incassato che portava a una strada più stretta, ma altrettanto melmosa. Finalmente, da dietro un folto d’alberi spuntò una collinetta coperta a mezzogiorno da un piccolo bosco e con in cima un complesso di costruzioni circondate da un muro in mattoni. Un viale rivestito di pietrisco conduceva al cancello principale. Affannati per la marcia veloce, si fermarono a qualche centinaio di metri dalla meta. Dall’alto Stefan abbracciò con lo sguardo il vasto e placido spazio ondulato, attraversato qua e là da strisce di nebbia contro il sole già basso sull’orizzonte. L’incero colore della neve tradiva l’effetto del caldo. Davanti al cancello scuro si innalzava un arco in pietra, nascosto lateralmente dai cespugli, con una scritta indistinta. Quando si furono avvicinati, Stefan vi lesse sopra le parole: Cristo trasfigurato.
Il titolo originale del libro è L’ospedale della trasfigurazione ed effettivamente nel corso della lettura si assiste ad una trasformazione profonda sia nel protagonista, il giovane medico Stefan Trzyniecki, che nell’ambiente circostante.
Il romanzo inizia con la narrazione di un funerale e si chiude con la descrizione di un massacro, come se in questo percorso di crescita Stefan, nell’attraversare il cammino verso la maturità fosse costretto a dover giungere dal particolare al generale e a dover imparare ad ogni tappa la grettezza, l’ipocrisia, la piccolezza dell’uomo incapace di opporsi alla sua stessa natura sotto la morsa della quale soccombe sempre, travolgendo ogni cosa intorno a sé. Pertanto le vittime saranno uguali ai carnefici, i malati si confonderanno con i medici e i morti non si distingueranno dai vivi. E alla fine Stefan rinascerà, integro e puro, come ogni uomo che abbia affrontato la sua personale discesa agli inferi e come ogni società dopo la catarsi di una guerra con tanto spargimento di sangue.
Non rimpiangere mai di essere andato in un posto piuttosto che in un altro, di non aver fatto qualcosa che avresti potuto fare. Non è vero. Se non l’hai fatto è perché non potevi farlo. Le cose hanno un senso solo perché finiscono. “Sempre e ovunque” equivale esattamente a “mai e da nessuna parte.”
Trzyniecki impara anche a comprendere l’anomalo punto di vista dei malati di mente, che gli insegnano a guardare le cose e gli avvenimenti da prospettive cui prima non poneva la giusta attenzione. E in effetti il confine che separa ciò che noi definiamo normale da quello che ci sembra folle, a volte è davvero sottile. Anzi spesso proprio i medici dell’ospedale sembrano avere qualche rotella fuori posto esattamente come i degenti e il loro comportamento, la postura, il modo di porsi presentano una teatralità a tratti surreale che li colloca all’interno di un palcoscenico che poi ne ingloberà uno ben più grande e tragico, quando la guerra e le persecuzioni naziste che in un primo tempo fanno da sfondo alla storia, piano piano si avvicinano sempre più fino a trasformarsi da mera scenografia a terribile realtà devastatrice. Sembra quasi che l’ospedale sia metafora della follia implicita in ogni guerra, e in tal caso ancor di più in presenza della discriminazione razziale che aggiunge un ulteriore elemento riprovevole, data la futilità della motivazione. E ancora, oltre all’antisemitismo qui entra in gioco la condanna alla diversità intesa come inferiorità e dunque inutilità, convinzione che permette ai nazisti di spazzare via, insieme agli ebrei, anche i malati di mente e gli slavi ritenuti una razza inferiore.
Ma il romanzo serve a Lem anche per esprimere le sue concezioni filosofiche e letterarie, in particolare attraverso la conversazione quotidiana tra Stefan e il poeta Sekulowski che alloggia all’interno dell’ospedale e soprattutto grazie all’apporto di autonomia che offre un terreno comodo come quello della pazzia per potersi esprimere liberamente.
– Ma secondo lei che cos’è la letteratura? – si azzardò a chiedere Stefan dopo una lunga pausa.
– Per chi legge, un tentativo di dimenticare. Per chi scrive, un tentativo di salvarsi… come tutto quanto, del resto.
Dopo il viaggio nell’ospedale della trasfigurazione, dopo essere emersi dal caos primordiale per giungere all’ordine cosmico, se nel cammino verso l’equilibrio ci accorgiamo che tutto è mutamento, e che noi stessi mutiamo di continuo, perché non entrare nel flusso assecondando il movimento e rendendoci in tal modo partecipi del processo creativo piuttosto che rimanere in balia dei venti, trascinati da ogni parte, senza mai comprendere?
Si ricordi – continuò Sekulowski – che le singole cose sono un riflesso del tutto. Le stelle più remote influiscono sulla forma del calice di un fiore. Nella rugiada di questa mattina c’è la nuvola di ieri. Tutto l’universo è legato da una reciproca dipendenza. Niente è immune dagli influssi esterni e meno che mai una cosa pensante come l’uomo. Pietre e facce si riflettono nei nostri sogni, il profumo dei fiori modifica il corso dei nostri pensieri. Quindi perché non modellare a piacere ciò che si forma in modo accidentale?
Davvero brillante e sorprendente la visione di questo libro che tu, bene come sempre, commenti!
“Non rimpiangere mai di essere andato in un posto piuttosto che in un altro, di non aver fatto qualcosa che avresti potuto fare. Non è vero. Se non l’hai fatto è perché non potevi farlo. Le cose hanno un senso solo perché finiscono.”… se questo e’ “l’anomalo punto di vista dei malati”… allora mi sa che anche io ho qualcosa che non va’, poiche’ da tempo sostengo un concetto che e’ davvero simile: inutile rimpangere qualcosa che si e’ fatto e che, evidentemente, non ha portato al risultato sperato, se e’ andata cosi’ e’ perche’ in quel momento si era cosi’ e non si poteva fare altrimenti. Spesso la “scelta” non e’ una vera scelta ma un percorso obbligato a cui, per credere di avere una parte in esso, diamo il nome “scelta”.
Un caro saluto 🙂
http://www.wolfghost.com
Caro Wolf, è un concetto che anche io sostengo da molto tempo… e d’altra parte se in un certo momento non si è in grado di comprendere non si può neanche scegliere…
un abbraccio
Davvero, concordo con chi ha scritto qui sopra.
Ma quanto sei brava?
Un bacio, cara.
Dan tu mi lusinghi…
un bacio
Conoscevo Lem come scrittore di fantascienza, ricordo che i suoi libri mi avevano particolarmente colpito per i contenuti filosofici e per l’accuratezza delle descrizioni di carattere scientifico, verosimili e probabili.
L’essere vissuto in un momento storico di follia politica e sociale, lo rende, a parer mio, un segnalatore di eventi , un anticipatore della più cupa delle pianificazioni della malvagità umana.
Mi piace molto l’impostazione in genere dei tuoi post, e questo non è da meno.
Anche le tue riflessioni sulle dinamiche relazionali che si stabiliscono tra vittime e carnefici. Soprattutto i risvolti metafisici tra vita e morte.
Il tutto con il tuo sguardo che abbraccia le tematiche filosofiche zen, che sai bene quanto mi affascinano.
Grazie.
Cri, invece io non avevo mai letto nulla di Lem e questo mi è capitato per caso, si vede che aveva proprio qualcosa da dirmi. D’altra parte l’ospedale psichiatrico usato come metafora si presta davvero bene per mettere in evidenza le bassezze dell’umanità…
un abbraccio
Per me vale la stessa cosa perché non conoscevo questa opera importante di Lem e grazie a te ora ne so qualcosa.
Quanto all’ospedale spichiatrico metafora delle varie tipologie umane, sono molti gli scrittori che ne hanno trattato.
un abbraccio
buona domenica
Un libro interessante che affronta un tema delicato, considerando l’epoca in cui fu scritto. I manicomi erano dei veri lager, il fatto stesso che gli ammalati non avessero capacità di difesa o di attendibilità, fece in modo che i medici si comportassero in maniera disumana. Molto profonde le tue considerazioni che evidenziano i punti salienti del romanzo dai contenuti filosofici.
Grazie per questa bellissima presentazione e analisi raffinata.
un abbraccio affettuoso
annamaria
Cara Annamaria, purtroppo chi non è in grado di difendersi trova sempre un prepotente dietro l’angolo pronto a vessarlo, anche col camice da dottore… è un ritornello che sembra non mutare mai…
grazie e un abbraccio
Non un libro qualsiasi ma un manuale, sebbene la letteratura serva a dimenticare…
Bellissimo post, Maria.
Grazie!
E noi scriviamo per salvarci…
un abbraccio
Ritrovo qui quella carissima amica che con i suoi post profondi e pieni mi ha fatto conoscere tanti scrittori, che non sapevo nemmeno che esistessero attraverso commenti che ci accompagnano nel tragitto letterario dello scrittore.
Esattamente come hai descritto benissimo nel post, nel quotidiano il confine tra la normalità e la follia è assai sottile e labile. Basta osservare la realtà sotto un’angolazione differente ed ecco che la realtà si distorce, cambia forma, mentre noi rimaniamo spiazzati, incerti su quello che prima erano certezze.
Un grande abbraccio
Caro Bear, è proprio così… del resto se non “guardiamo”, come facciamo a “vedere”?
un abbraccio
Soltanto con l’età e un po’ di coscienza guadagnata impariamo a lasciare andare le cose che non abbiamo potuto fare. La recriminazione è inutile. Impariamo anche a guardare amorosamente l’altro, compassionevolmente, ad accettarne come una ricchezza la diversità e ad ammirarne i valori. Come ci arriviamo? Infinite sono le strade, anche discorrere con un pazzo in un ospedale psichiatrico che si chiama, per assurdo, Trasfigurazione. Per assurdo o per una straordinaria verità e capacità dell’uomo di rinascere dalle proprie radici disseccate. Dentro ognuno di noi c’è il folle, il poeta, il santo e il carnefice. A noi la scelta.
Bellissima e fonte di ulteriori pensieri questa tua presentazione.
Cara Mimma, infatti è nella metamorfosi la chiave di tutto… l’uomo riesce a “rinascere dalle proprie radici disseccate” proprio perché è in continuo mutamento…
grazie, un abbraccio
Lem : un autore troppo trascurato !
è vero, anch’io non lo avevo mai letto!
Scrivere per liberarsi, uccidere per separarsi, impazzire per amarsi… mille trasformazioni per trasfigurarsi non più in se stesso ma in una diversa completezza di altri.
Smetterò di trascurarlo, lo leggerò!
Al cospetto di tal commento impareggiabile le mie parole trasfigurano in silenzio…
Quanti autori misconosciuti, accanto ad altri anche troppo noti e forse sopravvalutati! E’ sempre più difficile per un autore farsi leggere, in un mondo in cui la produzione letteraria è troppo esuberante. Di solito si ha successo per motivi extraletterari. Lem, che conoscevo solo come autore di Solaris, sembra proprio uno scrittore di spessore notevole.
Caro Guido, anch’io sono rimasta sorpresa, tanto che mi sono procurata altri libri di Lem… e ora sono molto curiosa di leggerli con questa nuova luce negli occhi…