Una solitudine troppo rumorosa

Attraverso i libri e dai libri ho appreso che i cieli non sono affatto umani e che un uomo che sa pensare, anche lui non è umano, non che non lo voglia, ma ciò contrasta col giusto modo di pensare.

Strano come l’universo si organizzi per mantenere costantemente un equilibrio che a volte noi nemmeno sospettiamo. Districarsi tra le spinte che cercano la stabilità e quelle che corrono in avanti senza fermarsi un attimo, è cosa ardua e alla fine il mutamento che segue il progresso lascia sempre dietro di sé qualche vittima, soprattutto tra i non umani abituati a pensare, a perdersi in conversazioni immaginarie con libri filosofici e autori morti da tempo o mai conosciuti.

Da trentacinque anni lavoro alla carta vecchia ed è la mia love story. Da trentacinque anni presso carta vecchia e libri […] sono una brocca piena di acqua viva e morta, basta inclinarsi un poco e da me scorrono pensieri tutti belli, contro la mia volontà sono istruito e così in realtà neppure so quali pensieri sono miei e provengono da me e quali li ho letti, e così in questi trentacinque anni mi sono connesso con me stesso e col mondo intorno a me, perché io quando leggo in realtà non leggo, io infilo una bella frase nel beccuccio e la succhio come una caramella, come se sorseggiassi a lungo un bicchierino di liquore, finché quel pensiero in me si scioglie come alcool, si infiltra dentro di me così a lungo che mi sta non soltanto nel cuore e nel cervello, ma mi cola per le vene fino alle radicine dei capillari.

Bohumil Hrabal (1914-1997) nel suo libro del 1977, Una solitudine troppo rumorosa, crea una complicata architettura nella quale varie tipologie di parola (parola onirica, parola filosofica, parola descrittiva, parola poetica…) si accompagnano a una visione del mondo tutta sua, concatenando gli avvenimenti con la particolare cadenza che hanno i sogni laddove a volte entrano anche scene perfettamente simili alla realtà della veglia. Del resto tutti gli amanti della lettura, dei libri, conoscono bene quella tendenza al vagheggiamento che li accompagna per l’intera giornata, come se oltre alla verità tangibile e lavorativa ce ne fosse sempre un’altra al di sopra, sospesa, all’interno della quale si trova costantemente un cantuccio confortevole.

E io alle falde della montagna mi raggomitolo come Adamo nel cespuglio, con un libro in mano apro gli occhi su un mondo diverso da quello dove appunto stavo, perché io quando incomincio a leggere sto proprio altrove, sto nel testo, io mi meraviglio e devo consapevolmente ammettere di essere davvero stato in un sogno, in un mondo più bello, di essere stato nel cuore stesso della verità. Ogni giorno io sbigottisco dieci volte, come ho potuto allontanarmi così da me stesso. Così alienato e derubato ritorno anche dal lavoro, silenzioso e in profonda meditazione cammino per le vie, oltrepasso i tram e le auto e i passanti nella nube dei libri che ho trovato quel giorno e che porto a casa nella borsa, passo sognante col verde senza neppure accorgermene, non urto contro i lampioni né contro i passanti, soltanto cammino e puzzo di birra e di sporcizia, ma sorrido, perché in borsa porto libri dai quali mi aspetto che a sera da loro apprenderò su me stesso qualche cosa che ancora non so.

Il protagonista del libro lavora da trentacinque anni alla pressa del macero. In particolare abbiamo a che fare con uno di quegli strani individui che vivono nel sottosuolo e che hanno sempre una visione alterata del mondo esterno. Hanta evita accuratamente l’omologazione e riesce a personalizzare ogni pacco che esce dalla pressa trasformando un’azione meccanica in atto creativo, facendo di ogni parallelepipedo, benché destinato alla distruzione, un esemplare unico. Egli non pressa soltanto libri o riviste, ma anche vecchia carta marcita o proveniente dal macello, ancora intrisa di sangue e seguita da uno stuolo di mosche carnarie, ciò che compie è un’impresa indefinibile e ogni pacco diviene l’improbabile creazione di un tutto inscindibile, dove il marcio, la morte, il sangue, si uniscono all’arte, alla poesia, alla filosofia. Hanta, con molta cura, fa in modo che lungo le pareti dell’involucro risultino ben visibili delle stampe di Van Gogh o alcune pagine scelte di Kant. Vita e morte dunque si comprimono e trovano orrore e bellezza in un connubio simbolico e carico di significati. All’interno del magazzino vivono anche delle colonie di topi che inevitabilmente finiscono nella pressa, insieme alle mosche ed è proprio lì che lo stesso protagonista vorrebbe concludere la propria esistenza, divenendo in tal modo al contempo creatore e opera d’arte. Poiché il confine è sempre molto labile tra ciò che noi suddividiamo e cataloghiamo come importante oppure come insignificante, come sacrificabile oppure no.

A volte, nella posizione della sedia Thonet, dormo così fin verso la mezzanotte e quando mi sveglio sollevo la testa e ho la gamba dei pantaloni madida di saliva al ginocchio, tanto mi sono raggomitolato e rannicchiato su me stesso, come un gattino d’inverno, come il legno di una sedia a dondolo, perché io mi posso permettere quel lusso di essere abbandonato, anche se io abbandonato non sono mai, io sono soltanto solo per poter vivere in una solitudine popolata di pensieri, perché io sono un po’ uno spaccone dell’infinito e dell’eternità e l’infinito e l’eternità forse hanno un debole per le persone come me.

Eccola la solitudine rumorosa che ogni lettore sa riconoscere, non si tratta di vera solitudine perché quando la testa è popolata di pensieri, si è in perenne contatto e conversazione con tutte le cose, con l’universo, si è parte di quel meccanismo di correspondances che tanti poeti hanno descritto. E naturalmente in questo fondersi di sogno e veglia, di tattile e impalpabile, non poteva mancare un accenno alla perfezione, che si può trovare nella coincidenza degli opposti e nella circolarità temporale che annulla la separazione tra passato e futuro, offrendo una visione della vita profondamente diversa da come siamo abituati a percepirla.

E così tutto quello che ho guardato in questo mondo, tutto va contemporaneamente indietro, come un mantice da fabbro, come al comando dei bottoni verdi e rossi sulla mia pressa, tutto trapassa scattando nel proprio opposto e unicamente così nulla al mondo zoppica e io ormai da trentacinque anni imballo carta vecchia e per questo mio lavoro uno dovrebbe avere non soltanto l’istruzione universitaria o il liceo classico, ma anche un seminario di teologia. Così la spirale e il cerchio nel suo impiego si corrispondono e il progressus ad futurum si fonde col regressus ad originem ed io per di più tutto questo lo vivo tattilmente e essendo io contro la mia volontà istruito, sono infelicemente felice e ho cominciato a riflettere sul fatto che il progressus ad originem risponde al regressus ad futurum.

Nel magazzino sotterraneo viene riversata la carta alla rinfusa, in una babele al contrario, una torre invertita in cono sprofondato, il controcanto dell’inferno dantesco che accoglie metaforicamente tutta la letteratura e la cultura in generale, bollate dal marchio della distruzione, sono i segni di una società in disfacimento, della quale tutto viene sepolto in questa tomba che ha ancora però un custode attento, colui che seleziona, che differenzia, che non si piega alla triste realtà dell’appiattimento e che nei trentacinque anni di lavoro ha portato in casa tonnellate di libri diventando colto contro la sua volontà. Ma mentre Hanta si affanna tanto nel suo spazio angusto per mantenere l’equilibrio, fuori dal suo magazzino la società corre velocemente verso il baratro, le esigenze produttive hanno creato non soltanto delle presse che triplicano il lavoro della sua, ma anche un personale amorfo, che non si pone domande e che nemmeno guarda cosa getta nel torchio, ma che è efficiente e rapido, e per questo renderà Hanta inutile, e pertanto, similmente alla sua carta marcita, egli verrà sacrificato, sostituito, rimosso dal suo incarico.

[…] Mančinka, senza volerlo, era diventata quella che non aveva neppure mai sognato, che Mančinka era andata più lontano di tutte le persone che avevo incontrato in vita mia, più lontano, mentre io, benché incessantemente leggessi e cercassi segnali nei libri, ebbene i libri avevano congiurato contro di me e io non avevo ricevuto un solo messaggio dai cieli, mentre Mančinka odiava i libri ed era diventata quella che era, era diventata quella di cui si scrive…

Tradito dal datore di lavoro, dai colleghi, perfino dalla sua amata pressa e tradito anche dai libri non gli resta che rifugiarsi in quella dimensione onirica che da sempre lo accompagnava, ma che adesso sarà il suo personale Paradiso Terrestre.

[…] poi lo zingaro col palmo rialzato richiamò anche la mia attenzione e io guardai la macchina che non aveva mai avuto nelle sue viscere la pellicola, così compresi che al mondo non dipende proprio nulla da come le cose finiscono, ma tutto è soltanto desiderio, volere e anelito, somiglianti all’imperativo categorico di Immanuel Kant […]

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22 commenti

Archiviato in scrittori contemporanei, visioni

22 risposte a “Una solitudine troppo rumorosa

  1. wolfghost

    Una recensione e una disamina pazzesca! 😀 Scrivi poco (in termini di numeri di post), ma quando lo fai esegui degli autentici piccoli capolavori! 😉
    In particolare mi e’ piaciuta la tua spiegazione del parallelo tra la societa’ e il magazzino ove lavora il protagonista del libro: davvero efficace 🙂

    Un caro saluto 🙂

    http://www.wolfghost.com

  2. Hanta, distruggendo libri, se n’è innamorato, li ha portati a casa, letti e riletti, si è impregnato del loro odore, parole, concetti, cultura e non per sembrare filosofo o colto, ma per la sostanza del suo essere uomo. Ma poi, esiste “un giusto modo di pensare”? L’importante, per me, è la passione che ci spinge fino a consumarci per apprendere qualche barlume di quell’oltre che sempre ci rimane parallelo.

  3. Bentornata, cara Maria, è un piacere rileggerti! Un post ricco di spunti riflessivi che nascono dalle tue attente e particolareggiate considerazioni. Non conoscevo quest’autore e ovviamente non ho letto questo libro, ma tu che adori gli scrittori stranieri di volta in volta ci offre delle chicche molto interessanti. Il fascino della lettura, il potere delle parole, tutto vero, ovvio che la lettura sortisce l’effetto avvolgente e pregnante quando il lettore si cala nella trama ed è capace di catturarne le frasi. A me succede molto spesso, mi isolo e penetro le parole nel profondo; per cui siamo un insieme di idee, quelle degli altri che giungono da altri più le nostre tutto in un impasto e rimescolamento a proprio piacimento. Ecco vedi entrare da te vuol dire avere uno scambio di pensieri, acquisirne di speciali e fare conoscenze letterarie, complimenti cara.
    un abbraccio affettuoso
    annamaria

    • Cara Annamaria, ti ringrazio molto perché oltre a commentare i post trovi sempre il tempo per lasciare qualche frase di grande attenzione e affetto per me. Hrabal sostava da un bel po’ di tempo nella mia libreria, finalmente mi sono decisa a leggere un autore così particolare e di grande spessore, una vera scoperta…
      un abbraccio

  4. Ancora una scoperta di un autore, sicuramente validissimo ma poco noto, almeno per me. Le tue osservazioni sul romanzo che poi spaziano e lasciano spazio ai tuoi personali commenti squarciano un velo sulla dipendenza della lettura, sul immedesimarsi nel testo fino a essere parte viva della storia.
    Hanta finisce così con l’immedesimarsi nei parallelepipedi che escono dalla pressa fino ad essere un unicum con essi. Così il lettore appassionato finisce col partecipare alla storia che legge.
    Le lettura non è mai sola o fine a se stessa ma accende la fantasia e di conseguenza alla visione onirica del mondo che si plasma su di noi come afferma Hanta.
    Una concatenazione di causa e effetto che trascina il lettore nel mondo dell’immaginario, del virtuale.
    Dopo tanto silenzio torni tra noi con questo bellissimo post.
    Ben tornata.
    Un grande abbraccio

    • Caro Bear, dopo la pausa estiva, ho diversi libri da proporre e cosa c’è di più bello, oltre a condividerli, di poter spaziare col pensiero e discuterne con voi?
      Sono io che vi ringrazio. un abbraccio

  5. “i non umani abituati a pensare”
    Così cominciava il commento che ti avevo scritto ieri e che non sono riuscita a recuperare.
    Citavo le tue parole perché in questa frase c’è qualcosa di immenso. Sconosciuto ma innegabile.
    Questi non umani, quando oltre a pensare esprimono, dicono che non basta una vita al torchio, per spegnere colori e parole e segni nel silenzio pressante.
    Siamo tutti Hanta, noi che ci ricordiamo di appartenere alle galassie.
    E allora non si può più soffocare quanto d’immenso ci abita, e se la traccia di un pittore, il verso di un poeta, il solipsismo di un filosofo, non li si vuole schiacciare in un parallelepipedo cruento, è poesia anche farla affiorare solo di quel tanto che la sottragga alla sepoltura definitiva.
    È talmente ben articolato questo tuo post, che si rimane sbalorditi di tutto quanto una mente umana possa far tesoro, e quanto occorra, peraltro, di sensibilità e acutezza osservatrice per porgerla così come sai fare tu, coinvolgendo il lettore fino a farlo sentire dentro, complice e ammiratore, non-umano abituato a pensare.
    Un abbraccio grato

    cb

    • Cri, anche se il primo si è perso nel web, anche questo è un bellissimo commento… le parole che hai scelto lasciano intendere tutto ciò che non sono capaci di dire… se solo ci ricordassimo che quell’immensità non è solo un’intuizione, ma parte integrante di noi, tutto scorrerebbe così fluidamente…
      Grazie a te e un abbraccio

  6. come non sentire fratello Hanta. Solo non puzzo di birra e di sporcizia 🙂
    Grande post! Grazie, carissima sorellina 🙂

    • Eh, già… cara Giacy, tutti i pensieri di Hanta effettivamente sono intinti in boccaloni di birra e coperti di strati di sporcizia… (ne faccio volentieri a meno anch’io…)
      Grazie, un abbraccione alla sorellina

  7. Che interessante contraddizione! Lavorare al macero e amare la letteratura … La grandissima parte dei libri pubblicati farà questa fine. Pochissimo transiterà nei secoli, una percentuale irrisoria. Chiunque scriva, dovrebbe esserne consapevole. E’ un necessario bagno di umiltà.
    Un caro saluto.

    • Caro Ettore è davvero una contraddizione interessante, ma d’altra parte Hanta è anche istruito contro la propria volontà…
      un bagno di umiltà è un ottimo suggerimento, ma purtroppo è poco praticato…
      grazie e un abbraccio

  8. gelsobianco

    tu hai doti eccezionali, rare.
    voglio avere il tempo per poter leggere attentamente quello che scrivi.
    a presto.
    gelsobianco

  9. Bellissimo libro, letto qualche anno fa. Tu sempre più brava. Un abbraccio.

  10. Citando Laozi, attraverso Hrabal che ci fa scoprire la circolarità nel ritmo dell’evoluzione della vita attraverso i libri, «editare è uscire», «leggere è entrare», così come «nascere è divenire», «morire è macerare». E tutta questa circolarità è ben espressa già dall’ossimoro di questo stupendo Titolo che annuncia prepotentemente il rumoroso silenzio di chi preferisce entrarci dentro, scendere in profondità (regressus ad originem), azionare il bottone e scegliere di esserne tagliato fuori (progressus ad futurum).
    Un abbraccio
    Franco

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