Il segreto. Clarice Lispector e la parola rarefatta.

[…] com’era sottilmente semplice lei, a quel tempo. Non c’era l’inatteso e il miracolo era il movimento rivelato delle cose. Se le fosse spuntata una rosa nel corpo, Virginia l’avrebbe colta con cura e, senza sorridere, ci si sarebbe ornata i capelli.

Clarice Lispector (Čečel´nik, Ucraina, 1925 – Rio de Janeiro 1977) viene ricordata tra le scrittrici brasiliane poiché, malgrado il luogo di nascita, all’età di soli due mesi si trasferì insieme ai genitori in Brasile. Per il resto è pressoché impossibile qualsiasi tipo di catalogazione per un’autrice tanto originale da collocarsi al di fuori di ogni schema. È stata spesso paragonata a Woolf e a Joyce, ed infatti ha continuato ulteriormente quel processo di sperimentazione iniziato dai due grandi scrittori rivoluzionando, nel suo modo personalissimo, l’uso della parola. Anche i suoi romanzi li si definisce tali a fatica, sia per l’assenza di una storia vera e propria, sia per la delineazione dei personaggi che rimane eterea, una rappresentazione di personalità che aleggiano sui corpi, corpi che agiscono in funzione di un sommovimento interiore che li muove, e pertanto l’immagine che si crea nelle mente del lettore non può non tenere conto di tutte le sensazioni e della profondità del pensiero che fanno parte anch’esse della descrizione fisica.

Pensieri semplici e chiari i suoi. Pensava una musica breve e limpida che si allungava in un unico filo e si arrotolava chiara, fluorescente e umida, acqua nell’acqua, meditando un elementare arpeggio. Pensava intraducibili sensazioni distraendosi in segreto come se canterellasse, profondamente incosciente e caparbia Virginia pensava a un solo tratto fugace: per nascere le cose devono avere vita, nascere è un movimento

Anche la protagonista del libro Il segreto (1946) vive sospesa. Virginia sembra sempre altrove ed in effetti si trova perennemente a vagare all’interno di se stessa alla ricerca di una verità inafferrabile al di là dei propri confini. Quando si vive di idee, di pensiero incessante, può capitare di confondere ciò che esiste al di fuori da ciò che ci s’inventa. Ma alla fine è poi così diverso? In fondo tutto ciò che inventiamo finisce con l’esistere, è il nostro modo di essere creatori.

In quei momenti non sapeva già più se aveva visto il cielo come chi vede quello che esiste o se l’aveva pensato riuscendo ad inventarselo… Era penetrata in un mondo ignoto e folle, aveva la vaga impressione che il cielo esistesse in ogni momento come sempre precedente, sempre presente e tranquillo… e che al di sopra fluttuassero i suoi desideri di cose, le sue visioni, i ricordi, le parole… la sua vita. Ed era ancora il cielo a salire e ad ampliarsi in attimi di silenzio dandole un silenzio di pensieri… o tutto ciò aveva semplicemente il valore di una delle sue idee, un’invenzione? Vedere la verità sarebbe stato diverso dall’inventare la verità?

C’è sempre una sorta di dolore necessario in tutti i momenti dell’esistenza e non si può prescindere dalla complementarità che dà vita a tutte le percezioni, infatti se mancasse il suo contrario, il nostro cervello, per l’uso limitato che ne facciamo, non riuscirebbe a cogliere l’altra metà e dunque la visione d’insieme. Eppure l’incessante confronto e il dover conoscere entrambi gli aspetti delle cose probabilmente, oltre a rendere la vita molto più faticosa poiché chiede che si raddoppino gli sforzi, falsa la naturalezza della conoscenza a causa della continua elaborazione dei dati che si ricevono. Per questo Virginia cade spesso in una sorta di delirio, proprio per cercare la sua verità oltre a ciò che c’è già di prestabilito. Se si riesce a trovare il punto di origine di un pensiero, di una cosa, di una situazione e a superarlo ecco che oltre ad una grande chiarezza, si può trovare, in una sorta di specularità al contrario, anche la vera libertà.

[…] lei pensava che se fosse riuscita a raggiungere l’aldilà del cielo, sarebbe venuto un momento in cui sarebbe stato chiaro che tutto era libero e che lei non era fatalmente legata a ciò che esisteva. […] Adesso era chiaro: era tutto vero! Tutto esisteva libero al punto che lei avrebbe potuto invertire l’ordine dei propri sentimenti, non avere paura della morte, temere la vita, desiderare la fame, odiare le cose felici, farsi beffe della tranquillità… Sì, sarebbe bastato un colpetto e, con un lieve e semplice coraggio lei avrebbe superato l’inerzia e reinventato la vita istante dopo istante. Istante dopo istante! In lei tremavano pensieri di vetro e di sole.

Descrivere i personaggi e le storie di questo libro non è facile e forse non è nemmeno importante, ciò che conta è sentire il movimento delle parole che creano giochi di luce, di emozioni, la descrizione di una quotidianità in cui non accade nulla eppure l’intero universo si crea di continuo. Sembra di inseguire scie luminose che si rincorrono da una pagina all’altra fino a precipitare all’interno degli antri più nascosti nei quali un individuo possa trovare riparo.

Indagava in lei una coscienza a sé stante. Linee luminose, secche e veloci striavano la sua visione interna prive di significato, fuggite da qualche misteriosa fessura e perciò fuori dal luogo della loro origine, deboli e stordite. Virginia poteva pensare in tutte le direzioni; chiudendo gli occhi dirigeva al proprio corpo uno di quei pensieri che nascono dal basso verso l’alto o che percorrono di corsa lo spazio aperto – non era una parola né un contenuto bensì il suo stesso modo di pensare nel cercare di orientarsi. Quello doveva essere pensare profondamente – non avere neanche un pensiero da portare alla superficie…

La storia di Virginia inizia quando è ragazzina e vive in una fattoria insieme al fratello e alla sorella e nel lungo cammino che la trascinerà dall’adolescenza all’età adulta lei sembra muoversi con impaccio. Non riuscirà mai ad emanciparsi dagli altri né da se stessa, una parte di lei rimarrà sempre ancorata ai luoghi, ai giochi dell’infanzia, alle riflessioni mai smesse su tutto ciò che la circonda e la sorpresa diventerà ancora più grande nel momento in cui si accorgerà che in fondo la conoscenza era proprio lì sotto i suoi occhi e che per vivere la vita, una vita qualsiasi, basta semplicemente rendersi conto di “essere”.

C’erano giorni di questo tipo nei quali lei capiva e vedeva così bene da cadere nello stordimento di una soave ubriacatura, quasi ansiosa come se le sue percezioni senza pensieri la trascinassero in un brillante e dolce vortice, ma chissà verso dove. Chissà. Gradualmente, guardando, svenendo, captando, respirando e aspettando, lei si legava più profondamente a ciò che esisteva, traendone piacere. Poco dopo, tacitamente sottintendeva le cose. Senza sapere perché, lei capiva e la sua intima sensazione era di contatto, di esistenza che guardava e che era guardata.

Più che prosa dunque sembra poesia. Le parole si infrangono su azioni inesistenti, ogni cosa che esiste è movimento, anche nella sua staticità e se a volte il linguaggio risulta ostico è solo perché si legge con i parametri del racconto classico, mentre qui è necessario scardinare ogni precedente rielaborazione e vedere nelle parole della prosa ciò che non sono abituate a dire, appunto poesia, ma anche musica, matematica, sensazioni, assenza, e sì proprio nell’assenza, nel vuoto che esse creano è facile trovare il significato più recondito, come un’improvvisa illuminazione, come una rivelazione. Ed ecco che la scrittura di Lispector, finalmente, vive di vita propria.

Così; quando vediamo una lucciola non pensiamo che è apparsa ma che è scomparsa. Come se uno morisse e quella fosse la prima cosa che si vedesse di quel tale e di colpo lui non fosse nato né vissuto, capisci come? Noi domandiamo: “Com’è la lucciola?” E rispondiamo: “Scompare”.

29 commenti

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29 risposte a “Il segreto. Clarice Lispector e la parola rarefatta.

  1. “Vedere la verità sarebbe stato diverso dall’inventare la verità?”

    “Istante dopo istante! In lei tremavano pensieri di vetro e di sole.”

    Stavo pensando, prima di proseguire nella lettura, esattamente che “Più che prosa dunque sembra poesia.”.
    Ecco, mi pare che ci sia una coerenza matematica, in questo dirsi di esistere scardinando il dato, il conosciuto, in una sorta di apprendimento nuovo che dal sé arriva al Sé.
    Non mi sorprende la scrittura vivida di Lispector, se presuppongo un percorso che continuamente accorda corpo e mente, e nemmeno il tuo calarti nella dimensione critica che ne sottende il pensiero. Ed è quanto mi colpisce sempre delle tue recensioni, ma in questo caso è ancora più evidente. Sei tu, siamo noi, gli esseri che sanno mettersi in gioco fino a negarsi, per poi riprendersi.
    E così come la parola non è la cosa, e qui torniamo a chi sai, nemmeno la cosa sembra essere di supporto definitivo all’autoconoscenza. Men che mai alla conoscenza.
    Allora diremmo di ogni essere umano: appare.

    Un abbraccio e grazie per essere un punto di riferimento.
    cb

    • E’ vero Cri, oppure se vogliamo usare la Lispector di ogni essere umano possiamo dire: scompare…
      d’altra parte in quest’ottica così poco vicina alla materia tutto è e non è allo stesso modo… c’è una sorta di leggerezza inspiegabile nell’andare oltre quello che siamo abituati a vedere seguendo le imposizioni della mente, e anche se viene solo sfiorata quella libertà è sufficiente per sapere che di tutte le nostre costruzioni nessuna è “reale” e questo dovrebbe bastare per non prendersi troppo sul serio e ampliare i propri orizzonti…
      Un grazie formato gigante e un bacio

      • in che cosa, dunque, consistiamo?… se passando continuamente tra tenebra e luce, tutte le nostre particelle sono e non sono, ma nel senso scientifico e reale, e non possiamo mai sapere dove ci troveremo l’attimo successivo.

      • proprio di questi tempi in cui “il grande fratello” incombe e siamo tutti sotto controllo e facilmente localizzabili, non è bellissimo sapere che in verità non stiamo mai abbastanza a lungo in un punto tanto da dire esattamente dove siamo? ciò che controllano è qualcosa che già non è più… ah quanto mi piace non essere quando so di essere e viceversa… bacio (se riesci ad acciuffarlo!)

      • appena in tempo. stavo già sparendo e riapparendo chissà dove…
        fulmineamente ricambiato.

  2. wolfghost

    Sembra che per la scrittrice il romanzo sia solo una scusa per indagare la vita e come affrontarla, sembra più di leggere un saggio di psicologia, anche se un pizzico metafisica, a cui l’autrice vuol dare un tenue filo conduttore imponendo una sorta di trama.
    Molto interessante, affronta le domande alle quali – chi più, chi meno – arriva chiunque dia spago alla propria introspezione.
    Un abbraccio 🙂

    P.S.: se non ci fossi tu… di tutti questi libri non saprei mai nulla! 😉
    http://www.wolfghost.com

    • Wolf, i “romanzi” (chiamiamoli così per comodità) della LIspector a tratti sono poco digeribili, più che altro ci vuole più tempo per trovare la chiave di lettura, ma una volta compreso che non si possono leggere seguendo le impostazioni tradizionali, se ci si lascia trasportare dalle parole, allora si apre una dimensione davvero insolita e affascinante…
      un abbraccio

  3. Considerazioni sottilissime eppure concrete, è vero: si tratta di poesia che, attraverso lo specchio del proprio contrario, raggiunge un barlume tentando di tenerlo, ma il tutto si disfa in altri barlumi. Così la verità inventata è più vera della verità concreta, il cielo interiore sale sopra quello esteriore o magari, anche, può affondare, le verità si moltiplicano, si fondono e generano ulteriori verità o voli d’anima, il tutto è annebbiato perché non raggiunto né posseduto.

  4. I brevi brani tratti dal libro di Clarice Lispector mi ha affascinato per la pulizia delle parole e per quello che riescono evocare nella mente. Concordo con te e con gli altri che mi hanno preceduto. Effettivamente si tratta di poesia sotto forma di prosa.
    Credo che tu sia riuscita a trasmettere quelle sensazioni che si provano leggendo questo romanzo: atmosfera rarefatta, analisi profonde della vita e di tutto quello che ruota intorno alla protagonista.
    Sto facendo un pensiero per acquistarlo, perché ho l’impressione che mi piacerà molto.
    Un abbraccio

  5. Ciao. Se metti fra i iwidget il tastino follow, saremmo contenti di seguirti 🙂
    Buon proseguimento.

  6. Crearsi una vita al contrario, raggiungere l’aldilà per reinventarsi i sentimenti. Non temere la morte, la fame, il dolore sarebbe come avere uno scudo alienante dalle emozioni e sensazioni. Un esperimento che porta la protagonista a ricalcare i momenti della sua infanzia, adolescenza sino all’età matura. Ma del resto è durante l’infanzia che si teme di soffrire, di patire la fame, di perdere i genitori e allora ci si va incontro sfidando i sentimenti capovolgendoli: in quel gioco del contrario, io vedo nella protagonista la paura di affrontare la realtà, una sorta di non esistenza che le creerà emarginazione dagli altri. Una prosa poetica interessante per le riflessioni che coinvolgono il lettore.
    Maria, la tua disamina eccellente è anch’essa prosa molto raffinata. Grazie per avermi fatto conoscere questo libro e quest’autrice.
    Buona domenica, un affettuoso abbraccio.
    annamaria

    • Cara Annamaria, proprio quella paura la farà riflettere su cosa sia in verità la “realtà”… e di come muti ogni volta che cambia l’osservatore…
      grazie a te per l’attenzione costante e un abbraccio

  7. Il problema che affronta è tra i più importanti. Ne dipende la serenità di ognuno. Se devo essere sincera, trovo la sua prosa poetica un po’ compiaciuta. Mi hanno trasmesso molto di più la tua parafrasi e le tue considerazioni:)

    • Cara Giacy, preferirmi alla Lispector è davvero gratificante! in verità anch’io nutrivo una sorta di pregiudizio nei suoi confronti, specialmente dopo avere letto il più famoso “vicino al cuore selvaggio”, ma con questo libro è riuscita a sorprendermi perciò penso che approfondirò…
      un bacione

  8. Non si può non provare invidia per l’allure visionaria di questa autrice, trasferita nel’ottica del suo personaggio femminile. Chi di noi non vorrebbe acquisire la facoltà di vedere oltre, proiettandoci in una dimensione quasi fatata e soprannaturale? ” (C’erano giorni di questo tipo nei quali lei capiva e vedeva così bene da cadere nello stordimento di una soave ubriacatura, quasi ansiosa come se le sue percezioni senza pensieri la trascinassero in un brillante e dolce vortice, ma chissà verso dove. Chissà. Gradualmente, guardando, svenendo, captando, respirando e aspettando, lei si legava più profondamente a ciò che esisteva, traendone piacere. Poco dopo, tacitamente sottintendeva le cose. Senza sapere perché, lei capiva e la sua intima sensazione era di contatto, di esistenza che guardava e che era guardata.)”. Quel “dolce vortice” in cui riesce ad entrare sarebbe salvifico, preziosa maniglia cui aggrapparci nei momenti in cui la banalità dell’esistere ci ingoia e soffoca.
    Sì, wolfiana per alcuni versi questa autrice.
    E molto profonda la tua analisi estetico-letteraria, “more solito”, conoscendo la tua penna.
    Affettuoso abbraccio.
    grazia

    • Cara Grazia, dici più che bene… non solo riuscire a vedere oltre suscita una punta d’invidia, ma anche saperlo descrivere inventandosi un linguaggio speciale, capace di scardinare le regole, e rischiando parecchio tra l’altro perché a tratti la lettura può risultare lenta e faticosa…
      tuttavia, come dici tu, lasciarsi travolgere dal vortice è anche un modo per salvarsi…
      un bacione

  9. Impossibile commentare sia il tuo post, sia Lispector, sia il commento di Cristina senza ricorrere al vecchio libro che recita … “e dio disse sia la luce e luce fu…” Quando le parole creano una realtà e i percorsi e le connessioni cerebrali per interpretarla. Il relativismo linguistico mi ha sempre affascinata, l’unicorno esiste anche se nella realtà non esiste, come dio; il demiurgo crea con le parole, ma le parole sono imperfette, così non ha potuto creare un mondo perfetto…
    Le parole di Lispector, come quelle della Woolf risuonano, toccano corde che in noi vivono soprattutto nei sogni e nella poesia. immagini e parole.

  10. Cara Cris, mi piace molto l’accostamento della parola di Woolf e di Lispector oltre che alla poesia anche al linguaggio onirico… anche quello in effetti è un ottimo modo per spiegare quello che non si può dire…
    concordo in pieno anche in merito alla parola che crea il mondo e dio stesso… e se pensiamo che è ancora viva dopo più di duemila anni… beh…
    baci

  11. Lessi Legami familiari la bellezza di 27 anni fa, quando ero molto giovane.Mi rimase sempre un turbamento particolare al ricordo di uno dei racconti del libro intitolato Amore; il resto lo avevo dimenticato. qualche anno fa lo ritrovai e rilessi quel racconto:l’effetto fu folgorante. La prima volta avevo intravisto me stessa e quello che sarei diventata nel tempo.La scrittura della Lispector mi colpisce al pari di quella della Woolf, ma con un senso di maggiore visceralità. Da due mesi ho sul comodino La passione secondo G.H.,ma non riesco ancora a iniziarlo: so che è una lettera “difficile”.Considero la Lispector, una delle più grandi scrittrici del secolo.

  12. Cara Marion, condivido la tua opinione su Lispector, anche se continuo a preferire la Woolf… La passione secondo G. H. è il testo che avrei voluto leggere dopo averla “scoperta”, ma come al solito qui in Italia o hai la fortuna di agguantare i libri al momento giusto o finiscono fuori catalogo senza che tu abbia il tempo di dire bz!
    un abbraccio

    • La Woolf è forse imparagonabile.Le accomuno per un certo modo di scrivere, di sondare le profondità, soprattutto del femminile, e nella portentosa capacità di sciogliere e dipanare l’intricato mondo del pensiero attraverso la parola.vuoi sapere una cosa?Ho avuto la fortuna di un amico che me lo ha spedito.Se vuoi ci organizziamo e ti mando il libro fotocopiato.Ciao

  13. Clarice Lispector è una delle scrittrici più straordinarie della letteratura mondiale, peccato che in italia sia così poco conosciuta. Bel post!

    • Manuela, sono d’accordo con te. Purtroppo capita molto di frequente in Italia, basta vedere quanto spesso autentici capolavori finiscano fuori catalogo, ma del resto viviamo in un paese di non-lettori…
      ti ringrazio.

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