Si può sfuggire al proprio destino? Non sempre. Forse mai. A volte comunque devi subirlo, specialmente se nasci in un certo sistema che, come una catena di montaggio, ti spinge in un’unica direzione. Tuttavia, apportando le dovute correzioni si può perfino credere di manovrarli noi quei fili invisibili, ma non è mai del tutto vero, non è mai esattamente così, anche in quei casi si tratta infatti solo di un leggero miglioramento della qualità della vita, e per di più in gran parte illusorio, ma non di uno stravolgimento degli eventi, di un vero deragliamento, perché avvenga tutto questo la nostra volontà non conta.
se qualcuno vive un destino, allora non qui.
se qualcuno ha un destino, è un uomo, se qualcuno riceve un destino, è una donna.
disgraziatamente qui la vita passa, solo il lavoro resta.
qualche volta una delle donne cerca di unirsi alla vita che passa e di chiacchierare un po’ con lei.
ma spesso la vita se ne va via in macchina, troppo veloce per la bicicletta.
Elfriede Jelinek (1946), vincitrice del premio nobel per la letteratura nel 2004, nel suo libro Le amanti (1975), racconta la storia di due donne operaie che tentano di sfuggire alla sorte segnata. E lo fa in un modo davvero originale, quasi volesse aiutarle in quest’impresa scardinando lei stessa le regole della lingua scritta, ignorando la punteggiatura e le regole dell’ortografia. Non esistono le maiuscole, lo stile attinge a piene mani dalla lingua parlata, le immagini sono crude, e i sentimenti sono un lusso che non ci si può permettere in questa descrizione cinica e violenta di un’umanità nuda, quella che corre senza speranza incontro alla fine dopo una vita inutile.
paula sta seduta col suo vestito della domenica. la sua testa schiaffeggiata sta nascosta nel suo ventre preso a calci. si è arrotolata a palla come un riccio. ma senza aculei. le sue mani che non hanno ancora superato l’esame di sarta, tengono insieme tutto il debole intreccio. la sartoria non offrirà la corona di fiori. si conoscono ancora troppo poco, paula e la sartoria. nella testa di paula compare un piccolo bocciolo: forse la sartoria sarebbe stata meglio di erich. il bocciolo viene subito strappato e calpestato. nel cuore di paula appassisce silenziosamente l’ultimo stelo d’amore. nel lavello si assopiscono le stoviglie stanche nel loro ambiente abituale. nello strato di grasso rancido della grande padella della famiglia si formerà una nuova scarica di schiaffi, se paula non si dà subito da fare con i piatti. erich si è subito dato da fare con paula, non è servito a nessuno dei due, se non a portare all’infelicità paula, che già ci stava dentro.
Attraverso la descrizione parallela dell’organizzazione della propria vita da parte delle due operaie Brigitte e Paula, Jelinek, come sempre avviene nei suoi libri, lancia un attacco efferato contro le ipocrisie del suo paese, l’Austria, contro il consumismo, le convenzioni sociali e in generale contro tutti i miti dell’occidente e della modernità.
Qual è il miraggio che le due donne vedono per poter cambiare la situazione? Il solito, ovvero cercare di accalappiare un uomo, il miglior partito possibile, che riesca a sollevarle almeno di qualche centimetro rispetto alla situazione di partenza. La scelta che compiono sarà determinante per il loro futuro, Brigitte vuole incarnare il mito della donna di casa, madre e moglie e sceglie Heinz, un giovane prestante, che non disdegna le altre donne, ma dal futuro economicamente certo. Paula invece crede ancora nell’amore e si invaghisce del taglialegna Erich, un giovane tanto bello e muscoloso quanto stupido, brutale e con la passione per l’alcool.
finita la gioventù, i giovanotti si portano in casa una donna attiva e parsimoniosa. Fine della gioventù, inizio della vecchiaia.
per la donna fine della vita e inizio dell’aver-bambini. mentre gli uomini maturano ben bene, iniziano a invecchiare e divengono dediti all’alcool – pare che li mantenga forti, preservandoli dal cancro – l’agonia delle donne dura anni e anni, spesso così tanto da assistere all’agonia delle figlie. le madri cominciano ad odiare le figlie e vogliono farle morire il più presto possibile, come sono morte un tempo anche loro, dunque: ci vuole un uomo.
La società consumistica, che crea continuamente dei bisogni fittizi in chi ci vive, spinge in una spirale che travolge tutto al suo passaggio e, laddove si vive guidati da norme ferree, anche la felicità e il benessere, non possono che giungere dall’esterno. Per le donne in particolare, una vita soddisfacente può arrivare solo grazie ad un uomo.
brigitte potrebbe procurarsi molti operai, ma lei vuole soltanto heinz che diverrà un uomo d’affari […] dipende solo dal caso se Brigitte vivrà, con heinz, o se sfuggirà alla vita e si distruggerà.
non c’è una regola. il destino decide sul destino di brigitte. non conta ciò che lei fa o è, ma conta heinz e ciò che lui fa o è.
È davvero desolante ricordarsi e riconoscere che una fetta enorme di umanità vive sotto leggi innaturali dettate dalla forza dell’ignoranza, dalla paura della fame, dalla convinzione che solo il corpo comanda e sotto la feroce spada della divisione dei ruoli e di condizionamenti inammissibili che però tutti, vittime e carnefici, accettano. E questa condizione di disumanità divenuta normalità è ormai pane quotidiano per donne, che a loro volta si incastrano perfettamente nell’ingranaggio divenendone addirittura una parte fondamentale affinché si perpetui il sistema, educando i figli maschi lasciandogli credere di essere superiori alle donne e con il gravoso compito di guidare il cammino dell’umanità.
Lo stesso accade nelle famiglie di Erich e di Heinz, le madri vogliono il meglio per i propri figli e per meglio non s’intende, cultura, intelligenza, rispetto, bensì una donna docile e magari con una buona dote, che lavori, lavi, cucini e pulisca in silenzio, addirittura felice di farlo, per il re della casa. Poco importa se i figli sono brutali, forti bevitori, donnaioli, la moglie deve essere la vittima perfetta, come lo sono state loro del resto.
finché ha vissuto mio padre, ho sfacchinato per lui, poi ho continuato a sfacchinare per tuo padre e per gerald, e ora che sei grande abbastanza per dividere con me la fatica, ora all’improvviso non ti va più e vuoi imparare il mestiere pulito di sarta. perché e per che cosa ho sfacchinato tutta la vita, se non per papà e per gerald, e adesso che finalmente potresti sfacchinare anche tu, adesso non ti va. toglitelo dalla testa! prima che tuo padre e gerald te lo tolgano dalla testa con la forza. adesso glielo dico io a tuo padre e a gerald. adesso!
Questo attacco feroce, senza filtri né mediazione alcuna, colpisce il lettore come uno schiaffo ben assestato. Non si esce indenni dalla lettura della Jelinek, perché si è costretti ad interrogarsi, a vedere anche quello che non ci piace e ad ammettere che spesso l’organizzazione sociale è fallimentare, che molte cose dovrebbero cambiare, ma anche che nessuno è disposto a fare il primo passo. Sembra quasi che, avviarsi in fila indiana come agnelli sacrificali sull’altare delle convenzioni, sia più facile di ribellarsi, sacrificandosi ugualmente, ma per il bene comune, per un miglioramento della qualità della vita che potrebbe interessare le generazioni future.
conoscete questo BEL paese, con le sue valli e le sue colline?
è circondato in lontananza da belle montagne. ha un orizzonte, cosa che non molti paesi hanno.
conoscete i prati, i campi, i pascoli di questo paese? conoscete le sue case tranquille e la tranquilla gente che ci sta dentro?
Esseri umani inscatolati, il cui Io è ridotto anche dalla minuscola che designa il nome proprio, inseriti in un piccolo riquadro verde dove si dipinge una bella vallata al centro della quale sorge una fabbrica. Ogni cosa si svolge all’interno di confini prestabiliti dove tutti hanno un padrone in una gerarchia ordinata che fa funzionare le cose. Nessuno pensa di sottrarsi al bel quadretto, perché è così che la gente perbene vive, perché è così che deve andare.
Ulteriori informazioni qui: http://librididonne.wordpress.com/