È raro di questi tempi potersi divertire grazie ad una scrittura limpida e intelligente e senza l’ausilio di volgarità o scene scabrose. Lettere di una donna indipendente di Elizabeth Von Arnim è un libro che delizia dalla prima pagina fino all’ultima, ma non solo, il fatto che sia stato scritto nel 1907 lo trasforma anche in uno strumento coraggioso di critica e di lotta contro delle convenzioni sociali delle quali sembra impossibile liberarsi completamente. In particolare qui viene messa in risalto l’assurdità di doversi sottomettere alla volontà maschile, poiché, ritenuta intellettualmente inferiore e rifiutata socialmente in caso di mancato matrimonio, una donna non può essere libera senza avere un uomo al suo fianco anzi, peggio ancora, rifiutando un “buon partito” compie addirittura un suicidio sociale.
Il libro è composto da una raccolta di 81 lettere, che raccontano una (pseudo)storia d’amore e suggeriscono tante esortazioni alle donne affinché si affranchino da atavici condizionamenti, convinzioni fasulle create a tavolino e inconcepibili divisioni di ruoli.
Sulle nostre piccole menti malleabili i genitori incidono le loro opinioni e, quando lentamente la massa s’indurisce, quelle incisioni profonde, strette, s’induriscono anch’esse, e la prima cosa che i migliori tra noi devono fare nel crescere è sprecare tempo prezioso lavorando di mazzuolo e scalpello nel tentativo di eliminarle.
Von Arnim segnala audacemente la principale fonte di tutti i malesseri sociali futuri, ovvero l’inattaccabile famiglia e il suo inculcare nella mente del bambino tutto quel bagaglio di limitazioni che solo i più intelligenti e fortunati riusciranno, da adulti, ad individuare e tentare di smantellare, anche se per farlo inevitabilmente dovranno poi pagare l’alto prezzo dell’isolamento e della critica continua.
Se avessi una figlia la crescerei con l’obiettivo di instradarla a un futuro privo di mariti. Vorrei che le si insegnasse una professione con la stessa cura riservata ai ragazzi. La sua testa dovrebbe essere riempita con una quantità di istruzione non inferiore al suo interesse per nastri e fiocchi. Io trascorrerei i miei giorni inculcandole l’importanza di essere indipendenti, di essere padroni del proprio tempo, di avere una vita pura e libera e un mondo aperto davanti a sé, aperto nello stesso modo in cui lo fu per Adamo ed Eva quando voltarono le spalle per sempre alla dolcezza stucchevole del paradiso…
Un personaggio così moderno, così intelligente non può che essere inviso alla società, perché porta con sé la minaccia della ribellione a secoli di indulgente asservimento e chi può preferire il caos al rassicurante ordine? Perfino le fasce più oppresse finiscono con l’adorare i propri padroni-carnefici, sopportando un dolore che conoscono piuttosto che lanciarsi nell’oscuro abisso di ciò che è sconosciuto (dimenticando, paradossalmente, che ciò che non si conosce potrebbe essere molto meglio di quel che invece si sa già). E naturalmente non mancano osservazioni critiche sulla divisione tra classi sociali e su come le donne preferiscano sempre andare contro le altre donne, piuttosto che fare fronte compatto verso certe convenzioni, che in tal modo addirittura esse stesse rafforzano e ratificano.
«Non finisco mai di stupirmi, Ludwig, della quantità di tempo e conversazione che dedichi a Fräulein Schmidt. Non mi arrischierei a chiamarla impertinenza, ma c’è un che di indescrivibile nei suoi modi – un’indipendenza sconveniente, una franchezza quasi immodesta e una naturalezza smodata – che rasenta pericolosamente l’impertinenza. Le persone della sua classe non capiscono quelle della nostra, e se insisterai nel mostrarti più gentile del necessario se ne approfitterà di certo. Ti pregherei di stare molto attento».
Ludwig è restato lì pietrificato e non ha aperto bocca.
Come romanzo epistolare il libro presenta delle caratteristiche che ne segnano l’ulteriore originalità, le lettere sono infatti tutte scritte da Rose-Marie e sono talmente esaustive che non si sente mai la necessità di leggere anche quelle del suo interlocutore.
Roger Anstruther, inglese, è un giovane nobile ma decaduto che si reca a Jena per imparare il tedesco e vive a pensione in casa del padre e della matrigna di Rose-Marie. Trascorso un anno, prima di ripartire per l’Inghilterra, i due giovani si danno un bacio e si confessano un amore reciproco, che si spinge addirittura fino a una promessa di matrimonio. Così ha inizio lo scambio epistolare che si avvia mantenendo il tipico contrassegno dell’amore al suo debutto, con le classiche palpitazioni per ogni frase letta o scritta, il ricordo continuo di parole, gesti, movenze e l’attesa ansiosa del postino, latore di missive apportatrici di ossigeno ai polmoni più della stessa aria:
Mio tesoro adorato,
se solo sapessi la gioia che mi danno le tue care, care lettere! Avresti dovuto vedermi quando ho agguantato il postino. Mentre mi porgevano le preziose missive, le sue dita mi parevano petali di rosa.
All’improvviso però qualcosa cambia, le lettere dell’uomo diminuiscono e lasciano il posto ad un periodo di silenzio. Durante questa battuta d’arresto il caro Roger si fidanza con una ragazza nobile e, guarda caso, anche ricca, mentre Rose-Marie cade preda di un malanno lungo e logorante. Anche il tono della corrispondenza, com’è ovvio, muta del tutto, il “caro Roger” iniziale viene sostituito da un ben più distaccato, “caro Mr. Anstruther” e la tenera fanciulla dai sentimenti delicati si trasforma in una donna intelligente, matura, sicura di sé, che scudiscia a colpi di sarcasmo e che non intende di certo lasciarsi piegare di nuovo.
Ritengo l’amore qualcosa di crudele, di orribile. È difficile che due persone si amino con la stessa passione ma, se anche lo facessero, quale sarebbe l’utilità? Tutto è destinato a finire in fumo e cenere, a spegnersi per via di quell’incessante stillicidio che è il matrimonio. E anche per gli altri, quelle innumerevoli persone che non amano alla pari, metà delle quali si trovano in terribile svantaggio, alla totale mercé dell’altra parte, cosa c’è se non dolore alla fine? Eppure all’inizio l’amore è una cosa bella, una cosa dolce e cara. Ma proprio come un gattino, che da piccolo ti delizia con i suoi modi teneri e amabili, con la sua innocenza, morbidezza e mansuetudine, si trasforma con spaventosa rapidità in un gatto che ti artiglia crudelmente. Vorrei sapere se esiste una sola persona al mondo, all’apparenza felice e indifferente, che non abbia ben nascosti sotto abiti e ornamenti i segni degli artigli dell’amore. Credo che si tratti di graffi così profondi che sanguinano a lungo, senza rimarginarsi; e quando, dopo anni, finalmente guariscono, rimane sempre una cicatrice, rossa e terribile, che fa trasalire quando inavvertitamente la si tocca.
Dopo l’inutile sofferenza subita Rose-Marie decide di interrompere lo scambio epistolare, ma l’insistenza del corrispondente la farà capitolare, non senza aver prima posto la clausola di limitarsi alla descrizione delle giornate trascorse, senza più addentrarsi in certi sommovimenti dell’anima e abolendo totalmente ogni riferimento alla passione, passata, presente o futura. Nelle lettere della ragazza si alternano racconti esilaranti a momenti di sconforto e a riflessioni acute il tutto legato dalla sottile trama dell’ironia. In Roger rinascono così i sentimenti iniziali che lo avevano unito alla ragazza, la passione e la certezza che tutto dipenda solo dalla sua volontà lo spingeranno perfino a rompere il fidanzamento per tentare di nuovo di riallacciare una relazione con Rose-Marie. Ma quest’ultima nel frattempo è cambiata e anche il modo in cui vedeva Roger è mutato, egli non le appare più come un giovane serio e affascinante, bensì come un uomo frivolo e superficiale, né di certo può dimenticare il suo comportamento passato.
L’amore non è qualcosa che si può prendere, poi buttare nel fango e riprendere a seconda del proprio capriccio. Sfortunatamente per voi, io sono una persona con uno spiccato timore di imporre se stessa o i propri affetti addosso agli altri, di abusare in qualche modo dell’altrui accettazione. L’uomo che amerei sarebbe l’uomo nel cui amore eterno potrei confidare. Ma io non mi fido di voi. E ho già abusato una volta della vostra accettazione. Sono stata gettata nel fango, e in quel luogo sordido è mancato poco che annegassi.
Solo una donna davvero indipendente può sottrarsi, alla “veneranda” età di ventisei anni, ovvero quando è ormai consacrata a rimanere zitella, agli attacchi di un giovane di un ceto sociale più elevato e abbagliato proprio da tanta sfrontatezza, libertà e capacità di dire con schiettezza quello che pensa, di mostrare ciò che è, senza nascondersi, senza mascherarsi. Quello che anche ai nostri giorni spesso manca, oltre alla consapevolezza di quanto il malessere sia più diffuso del benessere in una società fondata su queste leggi inique, è il coraggio di svegliarsi e cambiare, iniziando dal proprio pensiero, qualunque sia il prezzo da pagare, solo così potrebbe poi mutare radicalmente anche quello di chi ci circonda. Non è perché le cose si ripetono da secoli o perché fanno parte di una sorta di inattaccabile legge sociale che diventano anche giuste o utili all’evolversi dell’umanità. A volte la nostra forma di verità ce l’abbiamo proprio sotto il naso. Basta allungare la mano e prenderla.
Non vi scriverò mai più.