Pacienza
Pane e tempo.
Queste parole, graffite sul muro di una cella del palazzo Chiaramonte, sede del Sant’Uffizio dal 1605 al 1782, Giuseppe Pitré riesce a decifrare nel 1906: insieme ad altre di disperazione, di paura, di avvertimento, di preghiera; tra immagini di santi, di allegorie, di cose ricordate o sognate. […] La scritta egli così la commenta:
Tre cose purtroppo indispensabili per non disperarsi, per poter vivere e attendere; nelle quali non occorre cercare un significato meno che sincero di rassegnazione, poiché il pensiero d’una rivincita o d’una vendetta col Tribunale sarebbe stato sogno di mente inferma. Pensieri simili saranno stati del tempo, ma non del luogo.
Eppure, nell’introduzione al suo studio, Pitré ha ricordato un uomo capace di nutrire, in quel luogo, pensieri di rivincita e di vendetta: il racalmutese fra Diego La Matina. Capace non solo di nutrirli quei pensieri, ma di attuarli sull’inquisitore in persona, l’illustrissimo signor don Giovanni Lopez de Cisneros.
Leonardo Sciascia (1921-1989) apre Morte dell’inquisitore (1964) parlando del lavoro di Giuseppe Pitré che, nei primi anni del Novecento, per primo fu consultato dopo la scoperta delle iscrizioni sulle pareti delle celle di palazzo Steri, a Palermo e, partendo da quei luoghi, ripercorre la storia di Fra Diego la Matina (1622-1658), imprigionato tante volte tra quelle mura finché non divenne protagonista di un drammatico avvenimento, ovvero l’uccisione del proprio inquisitore, monsignor de Cisneros, circostanza che lo portò alla morte sul rogo.
Le carceri di palazzo Chiaramonte (attualmente sede del Rettorato dell’Università) detto Steri, da Hosterium (palazzo fortificato), sono adesso aperte al pubblico dopo un attento lavoro di restauro curato dall’Università di Palermo, che ha portato alla luce i graffiti dei prigionieri dell’inquisizione. Il palazzo fu infatti, dal 1605 al 1782, sede del Tribunale dell’Inquisizione del Sant’Uffizio. Nella parte inferiore furono costruite le celle e la sala delle torture, mentre nella piazza antistante (piazza Marina), si celebravano gli autodafé (atti di fede). La ricca documentazione che si trova su quelle pareti rivela un circuito di dolore e sofferenza, ma attesta anche l’origine dei condannati, alcuni dei quali erano artisti, poeti, studiosi, cartografi, insomma chiaramente possibili detrattori di un pensiero religioso che voleva il dominio e che grazie alla solidarietà tra potere temporale e spirituale, d’accordo col braccio secolare, aveva trovato un metodo infallibile per eliminare scomodi avversari e miscredenti.
La storia di Fra Diego viene ricostruita da Sciascia con fatica vista la scarsità delle fonti rimaste, in particolare a causa della perdita della documentazione ufficiale dopo l’incendio dell’archivio, nel 1783, voluto dal viceré Caracciolo, che distrusse tutti gli atti del tribunale.
Per quanto siano frammentarie le fonti, dal libro trapela la personale simpatia dello scrittore nei confronti di un personaggio che riuscì a ribellarsi ad un sistema ingiusto, che faceva della tortura un vanto e che portava avanti crudeltà e mortificazioni quotidiane, definendolo precisamente un uomo che tenne alta la dignità dell’uomo.
I cronisti che riferiscono gli avvenimenti sono certamente parziali, il dottor Vincenzo Auria e padre Girolamo Matranga, entrambi uomini del Sant’Uffizio raccontano l’aggressione all’inquisitore dal loro punto di vista. Il primo fa apparire Cisneros in odor di santità, come un buon padre di famiglia che si era recato dal proprio figliolo per salvarlo e da questi viene invece condotto a morte iniqua, ma malgrado ciò lo perdona, mentre il secondo fa un resoconto, per quanto fazioso, di sicuro più vicino alla realtà, scrive Sciascia:
Racconta infatti il Matranga che l’inquisitore era andato alle carceri segrete alla solita ora, per svolgere la solita opera a favore dei rei: la quale espressione è di vasto contenuto, e va dal discorso persuasivo ai tratti di corda. Dice ancora che fra Diego era stato condotto davanti all’inquisitore, non che gli era venuto incontro. Da questi due elementi possiamo attendibilmente dedurre che stava per subire un interrogatorio con relativa tortura.
In quanto alla santa morte di monsignor de Cisneros, il Matranga dice soltanto che altre parole non pronunciava che di rassegnazione alla volontà divina: e così nell’eterna Patria se ne volò a ringiovanirsi. Niente perdono all’empio, niente straordinario amore.
Quale fosse l’eresia iniziale di fra Diego forse non si saprà mai, si sa però che per tre volte fu condannato e poi rilasciato dopo avere abiurato, la quarta volta riuscì a fuggire, ma scoperto e incarcerato per la quinta volta nel 1657 fu ancora sottoposto a tortura. La storia che si tramanda racconta che in un momento di esasperazione colpì l’inquisitore con le manette di ferro finché non gli ebbe fracassato il cranio. Cisneros morì alcuni giorni dopo, non senza avere prima perdonato il suo assassino, rendendolo in tal modo ancora più colpevole.
Sciascia diceva, a proposito di Morte dell’inquisitore, che si trattava di un libro non finito, che non finirò mai, che sono sempre tentato di riscrivere e che non riscrivo aspettando di scoprire ancora qualcosa, ma anche se non ha potuto completarlo in vita, dopo la sua morte qualcosa di nuovo effettivamente è venuto alla luce. A fare la scoperta è stato uno storico dell’Università di Catania, Vittorio Sciuti Russi, che ha recuperato un documento nell’Archivio storico nazionale di Madrid, la lettera dell’inquisitore Escobar all’inquisitore generale Diego de Arce Reinoso nella quale chiede la canonizzazione di Cisneros e dove riferisce i fatti con quella precisione che è stata poi negata a chiunque sia venuto a conoscenza di quell’episodio. Il busillis, come direbbe Sciascia, sta tutto nel modo in cui fra Diego aggredì Cisneros, fino ad ora abbiamo letto che lo colpì con le manette, mentre in questa lettera si scopre che usò un attrezzo di ferro, cosa che fa dedurre che Cisneros si apprestava a torturare il prigioniero e non a svolgere un colloquio per salvargli l’anima con le parole della fede, informazione che avrebbe ridimensionato parecchio la figura di inquisitore caritatevole e in lista d’attesa per la beatificazione.
A Madrid l’idea di santificare Cisneros piace, tuttavia prudenza vuole che si allunghino un po’ i tempi e che si proceda solo dopo avere processato nuovamente fra Diego e dopo averlo giustiziato, in tal modo si evitava la preoccupazione di un’eventuale inchiesta da parte della Santa Sede con relativa testimonianza del frate. Alla luce del carteggio rinvenuto negli archivi di Madrid si comprende anche meglio quale potesse essere lo stato d’animo di fra Diego dopo i continui trasferimenti in carcere, gli interrogatori, le torture e soprattutto perché malgrado nel processo del 1656 la condanna al rogo fosse stata mutata in reclusione perpetua in un convento, la pena veniva appositamente ritardata per punire il suo cuore ribelle trattenendolo ancora nelle segrete dello Steri, un luogo che non poteva fare altro che esacerbarlo ulteriormente.
Nel 1658 venne allestito lo spettacolo pubblico durante il quale dovevano essere giudicati i colpevoli di eresia ed anche Fra Diego La Matina. Direttore fu nominato l’arcivescovo di Monreale Luigi Alfonso de Los Cameros che si diede alacremente ad esperire il processo a fra Diego La Matina e agli altri trentuno rei; e a preparare la gran festa dell’Atto di Fede. I maestosi lavori ebbero inizio e furono (come al solito) a carico del fisco reale e non della Chiesa: un vasto anfiteatro in legno, composto da una gradinata di nove ordini, da quattro grandi palchi sovrastanti, da un palchetto per i musici e da un altare, fu eretto nella piazza del duomo. Ma non mancarono nemmeno stanze costruite dietro ai palchi come luoghi di ristoro per i ministri, le dame e tutto il corteo di persone “importanti” decorate con velluti, seta, oro, candelieri d’argento, oltre ai cibi pregiati, alle bevande…
Il 16 marzo iniziò la lunga notte di fra Diego incatenato e sorvegliato costantemente da prestanti filantropi fermamente intenzionati a convertirlo anche a costo di rimaner svegli per tutta la nottata.
È una delle più atroci e allucinanti scene che l’intolleranza umana abbia mai rappresentato. E come questi nove uomini pieni di dottrina teologica e morale, che si arrovellano intorno al condannato (ma ogni tanto vanno a ristorarsi nell’appartamento dell’alcalde), restano nella storia del disonore umano, Diego La Matina afferma la dignità e l’onore dell’uomo, la forza del pensiero, la tenacia della volontà, la vittoria della libertà.
Come abbia risposto a tanta carità, come abbia infranto le acute proposizioni e i sottili argomenti dei teologi, non sappiamo. Certo è che il padre Matranga e i suoi colleghi, anche se ristorati dalle squisite vivande con tanta liberalità offerte dall’alcaide, fecero una nottataccia; e lo spettacolo dell’indomani forse non lo godettero appieno, immersi nella nebbia del sonno.
Alla fine, con il sopraggiungere dell’alba, tutti si resero conto che era inutile continuare e che ormai il destino di fra Diego era segnato, era il 17 marzo 1658, giorno della festa e pioveva, c’era il rischio che tanti preparativi andassero perduti e così per prendere tempo si decise di celebrare una serie di messe. Prima di mezzogiorno il cielo era libero e si poté finalmente iniziare la cerimonia. Il popolo partecipava quasi per intero, nella maggior parte dei casi non certo per piacere o per reale interesse, quanto per costrizione, per paura di ritorsioni varie considerato anche il numero delle delazioni e la facilità con la quale si finiva nelle mani di quegli uomini “caritatevoli”.
La descrizione del Matranga è minuziosa e Sciascia ne alleggerisce il linguaggio arcaico, lima le ridondanze e mette in ridicolo certi comportamenti che si vogliono compassionevoli mentre invece sono figli della solita prevaricazione.
Giunti infine al piano di sant’Erasmo dove era stata allestita la catasta di legna che era già sera, fra Diego vi fu posto sopra (con tutta la sedia alla quale era rimasto incatenato dal giorno prima) e chiese di parlare al teatino Giuseppe Cicala: Io muterò sentenza, e Fede, ed alla chiesa cattolica mi sottometterò– disse fra Diego –se vita corporale mi darete. Rispose il teatino che la sentenza era ormai impermutabile. E fra Diego –A che dunque disse il Profeta: Nolo mortem peccatoris, sed ut magis convertatur, et vivat?– E rispondendo il teatino che il profeta intendeva la vita spirituale e non quella corporale, fra Diego disse – Dunque Dio è ingiusto.
[…] battute che a noi pare di dover considerare non come segno di cedimento, di paura, da parte del condannato; ma come l’estremo modo di dar prova al popolo dell’inflessibile ferocia di una fede che proclamava di ispirarsi alla carità, alla pietà, all’amore.
Dell’effettiva eresia di fra Diego dunque si sa poco o nulla, in Sciascia prevale la teoria che si trattava di qualcosa non tanto relativo alla religione quanto alla sfera sociale, che fosse un ribelle potenzialmente pericoloso, un elemento destabilizzatore. Lo storico Luigi Natoli, nella sua versione da romanzo d’appendice, con il nome di William Galt, propone una figura rielaborata di fra Diego ripresa dalla tradizione orale che vuole il giovane accusato di delitto d’onore, ovvero di avere ucciso l’uomo che aveva stuprato la sorella, ma Sciascia accantona subito questa ipotesi concentrandosi invece sul ricorrente tenace concetto che a quanto pare compare sempre nelle varie cronache. Certamente affermare che Dio è ingiusto non poteva che condurre su una via senza ritorno, se poi si pensa che siamo nel XVII secolo diventa affermazione ancora più grave che pochi si sarebbero sentiti di assecondare. Sciascia perciò fa sua l’ipotesi che egli agitò il problema della giustizia nel mondo in un tempo sommamente ingiusto. E ciò spiega il silenzio dei suoi contemporanei e l’orrore. Fra Diego dunque non nega Dio, ma lo accusa, dal momento che la società è ingiusta, come le leggi che la governano e dunque la stessa vita lo è e perfino la religione non fa che perpetrarla perciò Dio stesso, permettendo l’ingiustizia del mondo, diviene a sua volta ingiusto. In tal senso diventa un personaggio scomodo, pericoloso, che crea proseliti, che lotta per i diritti dei più deboli e contro l’usurpazione dei loro beni, tutto questo lo rende vittima ideale dell’imposizione, dell’ingiustizia, della vessazione, e per quanto si ribelli ogni gesto risulta vano poiché egli è condannato a portare sulle proprie spalle non soltanto il suo, ma il destino dell’uomo e il dramma insito in ogni esistenza.
Senza metafisica e senza barocchi orpelli, in tempi più vicini a noi, un uomo di intendimenti non dissimili da quelli del Bertino e del Matranga ordina: il cervello di quest’uomo non deve più funzionare.
Un dramma che si ripete, che forse si ripeterà ancora.
Potete visitare le carceri dello Steri tutti i giorni dalle 10:00 alle 18:00. Fino a novembre l’Associazione “Amici dei musei siciliani” organizza visite con l’ausilio di guide d’eccezione come Carmela e Barbara che vi condurranno attraverso le storie dei tanti personaggi “ospitati” all’interno delle celle che hanno decorato con disegni, carte geografiche, scritte di denuncia, poesie e tutto quello che poteva lasciare un accorato segno del loro triste passaggio tra quelle mura. Una stanza è dedicata a fra Diego La Matina e alla sua storia di ribellione e morte.
Di recente Ruben Monterosso e Giovanni Pellegrini hanno realizzato un cortometraggio documentario tratto dal libro di Leonardo Sciascia e dal titolo omonimo.
Non conoscevo Sciascia sotto questa veste ma la voglia di denunciare che c’era in lui non viene meno in questo libro.
Se lo scrittore siciliano è noto per i suo libri sulla mafia e quasi sconosciuto su altri aspetti, questo libro La morte dell’inquisitore è un romanzo forte, did denuncia su un sistema, quello dell’Inquisizione, che ha macchiato la chiesa con le sue orribili torture, estorte con la forza e quasi mai legate a vere eresia.
In effetti l’eresia non era quella di vilipendere Dio ma di rifliutare l’imposizione della Chiesa, che ha dimenticato carità e senso della giustizia.
Libro interessante siscuramente, come interessante è visitare quei luoghi di tortura.
Felice domenica
Un abbraccio
Gian Paolo
Caro Gian Paolo, Sciascia non delude mai in effetti. Ho letto Morte dell’inquisitore dopo essere stata nelle celle restaurate di palazzo Steri, che meritano davvero una visita, e la storia di Fra Diego mi ha incuriosita a tal punto che ho deciso di documentarmi… Purtroppo il sistema ingiusto (non solo della chiesa ovviamente) contro il quale lottava il frate continua ad imperare… sembra che certe cose non cambino mai…
Buona settimana e un abbraccio
l’oscurità pare non abbia mai abbandonato mai l’l’uomo, almeno nel senso del soffocamento del dissenso. Cambiano forse i metodi, si raffinano, ma sostanzialmente “il cervello di quell’uomo non deve funzionare”
grazie Maria, per le tue preziosità,e per te
Caro Massimo, come sempre scegli una sintesi impeccabile… del resto mettere a tacere chi dissente con ogni mezzo è un’attività che non cade mai in disuso…
un abbraccio e grazie a te
Niente di più vero!
Le nuove scoperte danno onore a questo sfortunato giovane, anche se è poca roba considerando cosa passò. C’è poco da disquisire se la questione fosse religiosa o “sociale”: all’epoca (ma anche ora non è poi totalmente diverso) le due cose erano tremendamente legate, la religione era spesso solo un modo di giustificare il potere di pochi.
Un salutone 🙂
http://www.wolfghost.com
Caro Wolf, infatti la penso come te… comunque riesce sempre a sconcertarmi l’apparato di ipocrisia che vuole fare di chi tortura e impone addirittura un benefattore e la cecità di molti che abbracciano delle evidenti contraddizioni come limpide fonti di carità e amore…
un super abbraccio
Interessante proposta letteraria, presentata con la solita classe e competenza che ti contraddistingue.
La storia ha avuto periodi dolorosi che sarebbero da cancellare per le iniquità e comportamenti disumani compiuti e la casta religiosa non si è sottratta a tali barbarie. Il potere esalta le menti deviate e la Chiesa purtroppo ha sporcato l’immagine della vera fede al servizio degli ultimi.
Un romanzo con una storia forte, un romanzo da non perdere.
Grazie, cara Maria, anche per i riferimenti che riguardano le visite alle carceri dello Steri.
un affettuoso abbraccio
annamaria
Cara Annamaria, ti ringrazio e concordo con ogni tua parola…
un bacio
Inutile confermare che sei di una bravura eccezionale, così com’è inutile gettare uno sguardo indignato all’editoria italiana, che non sa guardarsi attorno. Eppure sarebbe così semplice!
Mi ha colpito il concetto di libro “non finito”, non per attribuire a me questa concezione che pur è quasi universale, ma sopprattutto ripensando a “Le Anime Morte” di gogol.
Tanti, tanti bacioni!
Cara Ale, ti ringrazio… sappiamo come funziona tutto in Italia, compresa l’editoria, penso sempre a Goliarda Sapienza che è stata “scoperta” dai francesi e pubblicata a tutto spiano, tanto da fare svegliare Einaudi, che pure avrebbe potuto pubblicarla anni e anni prima…
Hai fatto bene a sottolineare l’importanza del concetto di “libro non finito” che poteva passare inosservato rispetto alle vivide immagini di ingiustizia e tortura…
un abbraccione
I libri di questo genere forse non sono mai portati a termine.
Mi è venuto in mente questo pensiero mentre leggevo la tua interessantissima recensione, perfetta fusione di letteratura e accadimenti storici.
Sai quanto amo Sciascia, è il mio scrittore preferito. Ho tutti i suoi libri. Questo post ne afferma ancora una volta la lungimiranza, per quanto abbia argomentato sulle atrocità
di un vergognoso passato (passato?… mica tanto se a fine ottocento, nell’Alberta e con tanto di documentazione, le brave suore avevano il permesso di defenestrare i bambini gracili e malati, o di farli morire di fame e di stenti, e nella neve). Chissà da chi ha imparato, Hitler!…
E tu che lo hai corredato di immagini, non solo visive, ma soprattutto di quelle che fai nascere in chi legge con la tua indiscussa capacità di far convivere cultura e dialettica, hai condotto per mano in luoghi oscuri, testimonianza di efferatezze che, purtroppo, non sono bastate nei secoli a far cambiare idea sulla religione e i suoi “culti”.
Ne abbiamo ogni giorno esempi sotto gli occhi: al cattolicesimo si continua a perdonare o a ignorare volutamente, la terribile verità delle scelleratezze, a stendere un velo su depravazione e asservimento a logiche economiche e di potere. Tuttoggi.
Come se fossero piccoli, indesiderati contrattempi.
Fra Diego, ne convengo, alla pari di un Giordano Bruno, e tanti altri martiri della “madre chiesa” , delle sue lordure, delle torture e dei patiboli, è bene che abbia voce.
“Sciascia perciò fa sua l’ipotesi che egli agitò il problema della giustizia nel mondo in un tempo sommamente ingiusto. E ciò spiega il silenzio dei suoi contemporanei e l’orrore”
Ancora una volta ti ringrazio, Maria, per questo dono di completamento e conoscenza.
Un abbraccio
Cara Cri, come sai la penso esattamente come te… è sconcertante che a loro basti scusarsi pubblicamente per cancellare secoli di torture e nefandezze imperdonabili e che la gente continui a prendere per oro colato dogmi e teorie che si fondano (storicamente) su basi minate dalla corruzione e dalla violenza… ma si sa, ognuno vede solo quello che vuole vedere e soprattutto quello che gli è stato detto di vedere…
un bacione e grazie per i tuoi commenti
Grazie per questo documento. Mi è capitato ovviamente a scuola di parlare dell’Inquisizione ma adesso potrò farlo portando una storia che mi ha colpito nel profondo, forse per quelle semplici parole che hai riportato in corsivo, a mo’ di epigrafe, forse per l’ultima immagine, quella della stanza dei graffiti, rappresentazione oggettiva di una esclusione dalla vita, di una reclusione forzata che non cancella la sensibilità, il pensiero e, proprio per questo produce ancora più sofferenza e ribellione. Sulla Chiesa sorvolo…
Hai visto L’ultimo inquisitore di Forman?
Cara Giacy, le parti delle pareti delle celle che era facile vedere dall’apertura della porta erano decorate in prevalenza di immagini religiose e questo perché i prigionieri erano obbligati a mostrare contrizione e pentimento, ma le parti che rimanevano all’ombra invece erano ricoperte di lamentele, ingiurie, sonetti disperati… qualcuno però inseriva anche nelle immagini più esposte alla vista denunce mascherate contro il sistema e gli inquisitori… insomma è una vera miniera di informazioni, potresti organizzare una gita scolastica…
L’ultimo inquisitore l’ho visto quando è uscito al cinema… mi piace molto Forman e adoro Bardem
grazie e un abbraccione
Finché a “regolare” l’esistenza degli esseri umani sarà ancora (e purtroppo è ancora) il bisogno di compensare una debolezza intrinseca, strutturale, che non si è capaci di guardare e affrontare in altro modo, ci sarà sempre la demonizzazione e la persecuzione di chi “vede” e “parla”, con l’esercizio scellerato di un qualche potere sull’altro, compreso quello più vicino a noi con tutte le pratiche possibili messe in atto per ottundere il pensiero critico già a monte, e anche senza che gli individui (le masse) se ne accorgano.
Grazie per questo tuo contributo.
Pensando alle parole “Dio è ingiusto”, mi viene in mente un libro per me molto importante di C.G.Jung, “Risposta a Giobbe”, dove in estrema sintesi si afferma la superiorità morale dell’uomo rispetto al Dio (dell’Antico Testamento) che senza la coscienza dell’uomo neanche potrebbe vedere se stesso e le proprie contraddizioni… (tenendo conto che Jung parla comunque, anche nominando Dio, di dimensioni essenzialmente psicologiche… d’altronde come potrebbe essere altrimenti?)
Cara Luciana, ti ringrazio per l’interessante contributo a proposito di Jung. Purtroppo l’attività di ottundere il pensiero critico è sempre effervescente e oggi mi sembra ancora più efficace travestita com’è da libertà di parola e democrazia così da potersi insinuare ovunque come un virus insanabile…
un forte abbraccio
ringrazio Carmela e Barbara,per la gentilezza ,pazienza nello spiegare tutto quello che era il significato dei graffiti.Grazie gaetano
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