L’architetto moscovita M., che aveva costruito uno dei più frequentati caffè-ristorante della capitale ed era conosciuto nei circoli cittadini soprattutto per le vicende della sua vita privata nello stile delle memorie di Casanova, un bel giorno, passando accanto a un bar del viale Tverskij, si rese conto di essere ormai vecchio.
[…] Tutti i propositi che fino a poco prima avevano agitato il suo cuore gli apparvero banali, ripetuti centinaia di volte fino all’estenuazione, e persino l’incontro serale che egli ricercava da chissà quanti mesi e che avrebbe dovuto rappresentare un nuovo importante evento negli annali della sua esistenza, gli sembrò all’improvviso inutile e fastidioso… Le foglie autunnali soltanto, che cadevano dagli alberi per finire sotto i piedi dei passanti serali, infondevano nella sua anima una certa qual amara mestizia.
Così inizia il racconto di Aleksandr Čajanov (1888-1939), Storia di un manichino di parrucchiere (1918) che insieme ad altri quattro doveva far parte di un volume intitolato Novelle fantastiche, che però non verrà mai pubblicato. Čajanov fu un economista di fama internazionale, ma i suoi interessi spaziavano in tutti i settori dell’arte e la sua scrittura è talmente raffinata e affascinante ch’egli sembra non avere fatto altro nella vita che scrivere. Invece si occupò anche di politica, della storia e topografia di Mosca, fu un esperto bibliofilo, aveva una passione per le incisioni che collezionava ed era incisore egli stesso. La sua attività principale tuttavia determinò il suo destino. Arrestato nel 1930 con l’accusa di avere congiurato contro lo stato sovietico a causa delle sue ardite teorizzazioni in campo economico e sociale, fu condannato a cinque anni di carcere. Alla fine del periodo detentivo fu inviato al confino, ad Alma-Ata per continuare a svolgere la sua attività di docente di economia agraria. Tuttavia, essendo ormai segnalato come sovversivo, nel giro di pochi anni venne dichiarato nemico del popolo, arrestato nel 1937 e fucilato nel 1939.
Čajanov dedica il racconto a E.T.A. Hoffmann, maestro del fantastico e suo ispiratore. Un autore che esercitò una grande influenza su scrittori come Nodier e Nerval, naturalmente Poe, ma anche in Russia su Dostoevskij e Gogol. Le caratteristiche più note di Hoffmann, ovvero di far entrare nel mondo reale quello irreale degli eventi inspiegabili, l’ossessione, il sogno più vicino all’incubo, il perturbante, come aveva scritto Freud, si ritrovano in forma più stilizzata anche in questo racconto di Čajanov, dove l’architetto moscovita viene colto da febbrile passione per un manichino di cera, visto nella vetrina di un parrucchiere. L’io delirante e frammentato si propaga per il mondo alla ricerca spasmodica del corrispondente fisico del modello, una sorta di invasamento pervade l’animo dell’uomo portandolo alla rovina.
All’improvviso si immobilizzò, restando di sasso. La ben nota sensazione che provava all’approssimarsi di una passione sconvolgente fece fremere tutto il suo essere. Davanti a lui c’era il «Grande salone moscovita del maestro parrucchiere Tjutin», e attraverso il vetro appannato di una grande vetrina lo fissava un manichino di cera dalla fulva chioma.
[…] Malgrado una certa rozzezza di esecuzione, in ogni particolare si palesava la somiglianza con un modello in carne ed ossa. Era perfettamente evidente che quella statua di cera corrispondeva a un originale vivo, stupendo, meraviglioso. Tutti i sogni di Vladimir sull’essenza ultima del femminino, su quel non so che rispetto al quale le donne precedenti erano state soltanto una lontana approssimazione, sembrava si fossero calati in quel volto.
Vladimir scopre che in realtà il manichino che tanto lo affascinava era stato segato e che, in origine, riproduceva l’effigie di due gemelle siamesi, le sorelle Henrichson e con esse si apre un altro tema caro ad Hoffmann, quello del doppio. Vladimir dunque parte alla ricerca della fulva Afrodite, la gemella che aveva scatenato in lui la passione, associandola alla dea dell’amore, della bellezza, della sensualità. L’elemento irreale, il manichino di cui si innamora, si inserisce nella realtà, il corrispondente umano e i due piani si intrecceranno sempre più fino a sconfinare in un’altra dimensione, quella dell’alienazione.
Era come se tutto ciò che ella diceva o faceva non fosse autentico, ma premeditato, proferito soltanto per cortesia nei confronti dell’interlocutore, e che le interessasse assai poco. Il suo viso, solo apparentemente animato, trasmetteva un senso di gelo, e gli occhi immensi si velavano spesso di una torbida, plumbea lucentezza, sembrava che da qualche parte, chissà dove, al di fuori del controllo dell’interlocutore, in lei pulsasse un’altra vita, allettante, con un suo contenuto profondo.
Trovate le gemelle, Kitti e Berta, scopriamo che sono perfettamente speculari, anche caratterialmente, la prima saggia, l’altra ingestibile e ovviamente è quest’ultima a scatenare la passione nell’architetto. Ma c’è un ulteriore doppio che compare nella storia, Prospero, lo scultore che modella i manichini di cera. Anche lui si innamora perdutamente di Berta, ma quando scopre che è il fratellastro delle gemelle non regge il colpo e dopo un logoramento incessante, finisce con l’impiccarsi. Berta, a sua volta, si ammala di febbre nervosa e da quel momento il suo lato oscuro prevale.
Il fantastico entra di nuovo nel mondo reale attraverso l’arrivo dell’architetto moscovita che irrompe come una presenza quasi diabolica nella vita delle sorelle.
Sembrava che lo spirito di Prospero rivivesse in quel nordico, sembrava che il potere misterioso esercitato dal nostro defunto infelice fratello sull’anima di Berta fosse stato da qualcuno affidato a quel pallido uomo dai modi felini. Vane furono le mie parole come pure gli ammonimenti, le notti insonni e le lacrime di entrambe che inumidirono il cuscino comune, i giuramenti pronunciati sul fare dell’alba. La passione divampò, l’impetuoso torrente trascinò via con sé tutto, e persino io, incatenata a mia sorella dalla deformità, ero chissà come stranamente travolta da quelle onde.
Il doppio in letteratura ha avuto sempre un posto privilegiato, forse perché è un tema che si ritrova fin dagli albori della storia dell’umanità, connesso com’è all’inquietante rapporto tra il corpo e l’immagine di esso, ombra o riflesso che sia, e la morte. Čajanov da raffinato incisore quale era, cesella elegantemente tutti gli spunti che coinvolgono qualsiasi indagatore dell’animo umano e dunque ogni attento lettore, che è inevitabilmente anche un ricercatore.
Un altro spunto inserito in modo apparentemente casuale nella narrazione è lo specchio, anch’esso archetipo, simbolo, oggetto dai poteri magici inscindibile dal tema del doppio. Di conseguenza si presenta il tema della perdita d’identità e la sensazione di avere smarrito una parte di sé in un altrove non specificabile.
Vladimir si sentiva come un manichino, una marionetta che una mano invisibile reggesse per i fili. Gli amici non lo riconoscevano più.
Doppio e morte sono anch’essi inscindibili. Data la particolarità del doppio nel racconto, ovvero le sorelle siamesi, siamo già di fronte ad un’immagine simmetrica, corroborata dall’antitesi caratteriale, un doppio si contrappone all’altro divenendo il suo persecutore. Il secondo doppio è dato da Vladimir-Prospero rivali a distanza, innamorati della stessa donna. La morte è inevitabile per ricondurre alla sanità e all’unicità. Kitti e Berta vengono separate chirurgicamente e il doppio malato morirà permettendo però a quello sano di ritrovare la parte mancante attraverso Jeannette, la nipotina, mentre i due uomini, che incarnano gli impulsi distruttivi della passione, sono destinati all’inevitabile fallimento per cui Prospero è colui che muore, mentre Vladimir deve adeguarsi alla disfatta e tornare proprio in quel mondo reale al quale aveva cercato di sottrarsi all’inizio della storia e del viaggio.
Tu leggi la tua vita, non la scrivi: ignori la fine della storia.
Inquietante l’ammonimento di chiusura del post 🙂 Originale e, direi, attuale quest’opera e, immagino, il suo autore. Che peccato che si sia spento così giovane a causa della follia dell’uomo. Avrebbe forse potuto lasciare altre perle.
Un caro saluto 🙂
http://www.wolfghost.com
Caro Wolf, è tutto il racconto ad essere inquietante, in perfetto stile hoffmanniano…
un abbraccio
Ne sono sicuro, la chiusura che hai scelto ne è degna rappresentante 😉
http://www.wolfghost.com
la particolarità delle tue scelte, e le relative recensioni, stanno diventando proverbiali
grazie Maria
Caro Massimo, addirittura proverbiali… mi lusinghi!
un forte abbraccio
Il doppio e lo specchio, da sempre simboli dell’ambiguità dell’esistenza, presenti nelle fiabe e nei miti (Biancaneve e la Matrigna, Eco e Narciso, Perseo e la Medusa), e che, a ben vedere, sono i due aspetti propri di ogni essere umano.
I gemelli siamesi, poi, hanno sempre rappresentato l’errore, la certezza che nulla è certo. E questo ha un effetto sconvolgente su chi si ritiene uno e normale, lo sprofonda in una realtà oscura, possibile e quindi ancora più temibile.
Hai ben evidenziato l’ambivalenza del sentimento del protagonista, l’Autore ci comunica una sua particolare codificazione del diverso, doppiamente diverso in quanto al doppio si sovrappone il raddoppio, quasi a costringere chi osserva a un gioco all’infinito tra due specchi… e non è forse questo il tempo, lo scorrere dei giorni, l’essere ciascuno un altro ad ogni momento successivo?…
Allora la morte è la risoluzione, l’unica possibile, per interrompere il processo che mentre crea disfa, che mentre appare scompare.
Il mostro quale apparenza che distoglie, eliminando il quale, si ha l’illusione di salvarsi!
Questi i miei pensieri nel leggere questa tua ennesima chicca: ma dove li vai a scovare questi tesori?…
Bene, ovunque e comunque tu li trovi, sono certa che non è casuale, come non è casuale il tuo proporci l’essenzialità di una storia ed il suo autore.
Grazie
Un abbraccio
cri
Cara Cri, ti ringrazio… il tema del doppio mi ha sempre affascinata e ai tempi della tesi me ne sono occupata parecchio, insieme agli altri tipici dei racconti di Hoffmann, pensa che gioia ho provato nel ritrovare certe tematiche tutte in un unico racconto, tra l’altro di un autore misconosciuto e a mia volta scoperto per caso… ma come dici tu, e io sono d’accordo, niente è casuale, perciò… chissà!
baci
Devo rinfrescare i miri ricordi di Hoffmann, come devo approfondire la lettura di questo romanzo in bilico tra realtà e irreale.
Sempre particolari le tue letture, sempre intriganti le tue recensioni che mi stimolano l’acquisto di nuovi libri.
Il doppio è un classico di certi autori come Hoffmann e Poe e hanno sempre un grosso potere di suggestione nel lettore.
Sei sempre bravissima nei tuoi commenti.
Un abbraccio
Caro Gian Paolo, diciamo che mi diverto a sorprendere con certe proposte di lettura, ovviamente quello che propongo nel blog è frutto di capillare selezione, in mezzo ci sono tante letture trascurabili o che non mi hanno suggerito nessuno spunto particolare…
ti ringrazio e ti abbraccio
Beh! questa è sicuramente interessante.
Un abbraccio
Interessante, intrigante e fantastico. Il manichino attrae e scatena strane sensazioni, il manichino nato da una fusione di due donne siamesi e qui entra in scena il doppio con le sue storie irreali. Ma la fantasia corre sulle ali dell’inverosimile e crea quella particolare suspense, per questo credo il libro catturi l’attenzione, oltre che per la scrittura di qualità di un economista di talento. Se Cajanov non fosse stato fucilato ci avrebbe consegnato altri capolavori.
Bravissima: un’analisi attenta che entra nelle pieghe più profonde della vicenda.
Buon sabato sera, cara Maria.
un abbraccio.
annamaria
Cara Annamaria, sì anch’io sono certa che se non fosse stato fucilato, per motivi inaccettabili tra l’altro, chissà quanti altri racconti affascinanti avrebbe prodotto… ma purtroppo il suo destino ha deciso altrimenti…
ti ringrazio. un super abbraccio