Il tema del viaggio, come discesa agli inferi o come ascensione, sembra essere una costante in letteratura, per rappresentare al meglio quel percorso di crescita interiore che ci trasforma incessantemente, noi esseri che siamo in continuo divenire. Il pensiero simbolico è il più adatto per la comprensione data la sua caratteristica fondamentale di togliere all’oggetto in questione le peculiarità individuali, per farlo diventare un’immagine che contenga ogni possibile variante.
Nella tradizione fiabesca, avevo scritto in sostanza, la Montagna è il legame fra la Terra e il Cielo. La sua cima unica tocca il mondo dell’eternità e la sua base si ramifica in molteplici contrafforti nel mondo dei mortali. È la via per la quale l’uomo può elevarsi alla divinità e la divinità rivelarsi all’uomo.
Il Monte Analogo (Romanzo d’avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche), (1968), si dedica al viaggio di ricerca come ascensione e dunque il suo simbolo privilegiato non può che essere la montagna. René Daumal (1908-1944) aveva iniziato il racconto nel 1939 durante un soggiorno a Pelvoux, sulle Alpi, ma non riuscirà a portarlo a termine a causa della sua morte prematura e il quinto capitolo (dei sette previsti) si interrompe su una frase incompiuta. Il titolo dell’ultimo capitolo doveva essere: E voi, che cosa cercate?
In una lettera del 24 febbraio 1940 a Raymond Christoflour, René Daumal diceva:
Sto scrivendo un racconto piuttosto lungo nel quale si vedrà un gruppo di esseri umani che hanno capito di essere in prigione, che hanno capito di dovere, prima di tutto, rinunciare a questa prigione (perché il dramma è l’attaccarvisi), e che partono in cerca di una umanità superiore, libera dalla prigione, presso la quale essi potranno trovare l’aiuto necessario. E lo trovano, perché alcuni compagni ed io abbiamo realmente trovato la porta. Solo a partire da questa porta comincia una vita reale. Questo racconto avrà la forma di un romanzo d’avventure intitolato “Il Monte Analogo”: è la montagna simbolica che unisce il Cielo alla Terra; via che deve materialmente, umanamente esistere, perché se no, la nostra situazione sarebbe senza speranza…
Il narratore avvia il racconto partendo dall’arrivo di una busta. Nel periodo in cui collaborava alla Revue des Fossiles aveva scritto un articolo sul significato simbolico della montagna nelle mitologie antiche, e lì faceva riferimento al Monte Analogo come realmente esistente. La busta che gli viene recapitata contiene la lettera di un eccentrico signore, Pierre Sogol, da tempo convinto dell’esistenza di quel monte e finalmente felice di poter condividere le sue idee, i suoi studi e di potere organizzare addirittura una spedizione per trovarlo.
C’era nella maniera di pensare di quell’uomo, come in tutto ciò che appariva di lui, una singolare mescolanza di vigorosa maturità e di freschezza infantile. Ma soprattutto, come sentivo accanto a me le sue gambe nervose e infaticabili, così sentivo il suo pensiero come una forza sensibile quanto lo è il calore, la luce o il vento. Tale forza era una facoltà eccezionale di vedere le idee come fatti esteriori e di stabilire legami nuovi tra idee apparentemente disparate. Lo udivo—lo vedevo anche, oserei dire—trattare la storia umana come un problema di geometria descrittiva, poi, un istante dopo, parlare delle proprietà dei numeri come se si fosse trattato di specie zoologiche; la fusione e la scissione delle cellule viventi diventavano un caso particolare di ragionamento logico, e il linguaggio traeva le sue leggi dalla meccanica celeste.
In ogni viaggio di ricerca c’è una guida, qui è Pierre Sogol, che già dal nome si offre come condottiero della scalata del Pensiero (sogol = logos) e ricettacolo di simboli in questo cammino metafisico. In otto partono a bordo dello yacht Impossibile, di proprietà di uno dei partecipanti alla spedizione, alla volta dell’ignoto alla ricerca dell’infinito.
Perché una montagna possa assumere il ruolo di Monte Analogo, concludevo, è necessario che la sua cima sia inaccessibile, ma la sua base accessibile agli esseri umani quali la natura li ha fatti. Deve essere unica e deve esistere geograficamente. La porta dell’invisibile deve essere visibile.
Il desiderio di raggiungere l’assoluto passa attraverso la pratica spirituale e porta in primo piano il regno dell’interiorità rispetto al mondo esterno ed alle sue illusioni. Chi sono? La ricerca di sé, il ritrovamento della propria essenza è l’interrogativo principale, è il fulcro del libro e il primo passo verso la verità. Pertanto solo per pochi eletti la porta diventa accessibile.
Ecco dunque quello che ho concluso, eliminando semplicemente tutte le ipotesi insostenibili. In qualche punto della Terra esiste un territorio con una circonferenza di almeno diverse migliaia di chilometri, sul quale si innalza il Monte Analogo. Il basamento di questo territorio è formato da materiali che hanno la proprietà di curvare lo spazio intorno a sé in modo tale che tutta la regione sia rinchiusa in un guscio di spazio curvo.
Per trovare un luogo inaccessibile è necessario preparare gli esploratori insegnando loro a scardinare l’ordine del pensiero convenzionale e ad invertire l’assetto degli elementi. Il principale maestro è naturalmente Sogol, ma all’interno del testo vengono inserite sapientemente delle storie leggendarie che si prestano a tale scopo. Ad esempio la Storia degli uomini-cavi e della rosa-amara dove si contrappongono i termini vuoto-pieno e quello del doppio. Gli uomini-cavi sono appunto vuoti, ma vivono all’interno della montagna, dunque nel pieno, sono l’inverso degli uomini e ogni uomo ha il suo doppio in un uomo-cavo, entrambi si ricongiungono al momento della morte: (…) ogni uomo vivente ha nella montagna il suo uomo-cavo, come la spada ha il suo fodero, come il piede ha la sua impronta, e che, alla morte, essi si ricongiungono. Nel quarto capitolo un altro mito narra di una separazione dall’Unico e del desiderio che ogni tanto riaffiora in ogni uomo di ritornare alla propria origine.
Daumal è uno scrittore che si è interessato parecchio alle dottrine esoteriche, alle religioni orientali, ha studiato il sanscrito e si è dilettato a tradurre testi sacri indiani. Nel 1928 fonda insieme ad un gruppo di amici la rivista letteraria Le Grand Jeu della quale usciranno solo tre numeri. L’intento è quello di esplorare l’inconscio con l’ausilio di qualsiasi mezzo, droghe comprese, pur di trovare quella breccia che consenta il passaggio attraverso dimensioni normalmente insondabili. Determinante per lui fu conoscere Alexandre de Salzmann (Pierre Sogol nel libro) che, in quanto discepolo di Gurdjieff, gli permise di avvicinarsi alle tecniche psicofisiche elaborate dal maestro, figura eminente tra i cultori del misticismo e delle scienze occulte dell’epoca. Ma anche gli studi di René Guénon sull’India furono per lui di importanza fondamentale.
Non si può restare sempre sulle vette, bisogna ridiscendere… A che pro allora? Ecco: l’alto conosce il basso, il basso non conosce l’alto. Salendo devi prendere sempre nota delle difficoltà del tuo cammino; finché sali puoi vederle. Nella discesa, non le vedrai più, ma saprai che ci sono, se le avrai osservate bene.
Si sale, si vede. Si ridiscende, non si vede più; ma si è visto. Esiste un’arte di dirigersi nelle regioni basse per mezzo del ricordo di quello che si è visto quando si era più in alto. Quando non è più possibile vedere, almeno è possibile sapere.
E in questo rincorrersi di raffigurazioni speculari non può mancare per completamento simbolico l’immagine della scalata che al rientro diventa discesa. Una volta iniziata l’ascesa del Monte Analogo ad ogni tappa ci si installa in un campo e prima di proseguire in altezza bisogna ridiscendere al campo precedente per preparare chi si appresta a salire. In tal modo Daumal, attraverso l’idea che ogni uomo è responsabile del suo simile, dà voce a una sua convinzione, ovvero che esiste un legame necessario tra il progresso spirituale di ogni essere e l’aiuto che egli offre agli altri. Salita e discesa sono dunque complementari e noi siamo tutti collegati e concatenati, come una lunga cordata di alpinisti che si arrampica sulle pareti scoscese per raggiungere la vetta.
Tieni l’occhio fisso sulla via della cima, ma non dimenticare di guardare ai tuoi piedi. L’ultimo passo dipende dal primo. Non credere d’essere arrivato solo perché scorgi la cima. Sorveglia i tuoi piedi, assicura il tuo prossimo passo, ma che questo non ti distragga dal fine più alto. Il primo passo dipende dall’ultimo.
Daumal usa l’alpinismo non soltanto come disciplina sportiva, ma anche come perfetta metafora di disciplina interiore. In montagna ci si deve assumere la responsabilità dei propri atti perché porre un piede in fallo, essere sventati e imprudenti può mettere a repentaglio non soltanto la propria vita, ma anche quella degli altri. Così nel viaggio iniziatico si è soli, ma al tempo stesso non ci si deve dimenticare di tutto il resto, della nostra origine dall’Unico, né distrarsi mai dalla meta.
Il mio Superiore aveva detto bene: io soffro di un bisogno inguaribile di capire. Non voglio morire senza aver capito perché ho vissuto. E lei, ha mai avuto paura della morte?
Frugai in silenzio nei miei ricordi, ricordi profondi dove le parole non erano ancora entrate. E dissi con difficoltà:
—Sì. Circa all’età di sei anni, avevo sentito parlare di mosche che pungono le persone durante il sonno; qualcuno aveva detto per scherzo che “quando ci si sveglia si è morti”.
Come ogni viaggio mistico che si rispetti, inevitabile è l’incontro con la morte. La civiltà occidentale è abituata a temerla e a fuggirla, ma chi inizia il percorso attraverso le profondità dell’animo sa che fa parte della vita, del resto tutti i riti d’iniziazione si basano su una morte rituale che porta alla rinascita e dunque alla vita. Daumal non riesce a terminare il viaggio simbolico descritto nel libro, ma si tratta di un’esperienza che comunque non può essere portata a termine quando si fa riferimento a vette definitive, sarà perché non c’è nulla di veramente conclusivo, o forse perché nel momento in cui si raggiunge la cima l’esperienza terrena non può che finire e non si può più raccontarla con la parola. Il viaggio è sempre un continuum che si estende al di là dei confini che ci sono noti, per il resto ognuno deve trovare la propria porta da attraversare.
E voi, che cosa cercate?
Ho cercato anch’io (come tanti) la porta e ho intuito il percorso. Solo che poi ho capito che sarebbe stato comunque un percorso parziale e che non sarebbe servito a niente se l’avessi fatto da solo. Credo che la cosa più importante sia proprio comunicare le proprie scoperte e aiutare a salire chi viene dopo. E’ il genere umano nel complesso che sale. L’individuo però deve comunicare ogni risultato, ogni passo compiuto. Ma non è quello che fanno la scienza e, in qualche misura, l’arte?
Caro Guido in fondo però il percorso non si compie mai completamente da soli, ci sono tutti i nostri vari Sé che ci accompagnano… comunque è vero, anch’io trovo che sia molto importante, prima di continuare a salire, preparare attraverso la conoscenza acquisita chi ancora deve muovere i primi passi…
un abbraccio
La citazione di Daumal – “Sto scrivendo un racconto piuttosto lungo nel quale si vedrà un gruppo di esseri umani che hanno capito di essere in prigione, che hanno capito di dovere, prima di tutto, rinunciare a questa prigione (perché il dramma è l’attaccarvisi)”- mi ha fatto venire in mente degli analoghi versi di Eliot, tratti da “La terra desolata” : “Ho udito la chiave
Girare nella porta una volta e girare una volta soltanto
Noi pensiamo alla chiave, ognuno nella sua prigione
Pensando alla chiave, ognuno conferma una prigione” .
La prigione è mentale, le gabbie sono i nostri pregiudizi, le nostre paure. Credo che il viaggio sia di per sé un’iniziazione, e per rispondere alla domanda finale io cerco di essere fedele alla fiamma delle mie giovanili ispirazioni e al daimon che mi abita dentro. Post affascinante. Un caro saluto.
Caro Ettore, grazie per queste belle parole che condivido…
la ricerca per me è il modo migliore per affrancarsi da quelle prigioni mentali nelle quali rischiamo di rimanere rinchiusi per l’intera esistenza…
un abbraccio
credo stia tutto in quella domanda finale, voi cosa cercate?
spregiudicata conclusione di quel viaggio contemplato nella scrittura,e nella lettura. Con quale fine appunto?
ricordo una poesia dallo Spoon River “George Gray”
questo personaggio si rammaricava di non avere mai avuto il coragggio di spiegare le vele in mare aperto, impedendosi, con la sua eccessiva prudenza, di trovare un significato nella vita. La tua recensione mi ha suscitato questa riflessione, ho viaggiato all’interno di me e del significato che intendo dare alla mia eistenza.
un abbraccio Maria
Caro Massimo, lo penso anch’io, del resto a volte, anche se con timore, avere il coraggio di spingersi verso vette improbabili ci conduce in spazi interiori che nemmeno sospettavamo di contenere…
un abbraccio
Ognuno di noi è teso alla ricerca di un qualcosa che trascende il reale per liberarsi dalle catene che metaforicamente e virtualmente lo imprigionano.
L’ascesa al monte per un entrata invisibile rappresenta questo desiderio di avvicinarsi a Dio, di elevarsi dal grigiore del quotidiano.
Veramente interessante è questo romanzo (o racconto lungo) che cerca una via verso la libertà e che termina emblematicamente con un «E voi, che cosa cercate?»
Caro Gian Paolo, cercare di superare i propri limiti è l’impresa più audace che possiamo compiere, ma anche la più fruttuosa…
un abbraccio
Certamente, Maria.
Ricambio l’abbraccio
Estremamente interessante 😉 Fin dalle prime battute ho capito che Daumal conosceva le filosofie orientali, ma ho trovato il tutto ancora più coinvolgente quando si è arrivati anche a Gurdjieff 😉
Vero, la montagna è il viaggio sono sempre privilegiati nei racconti simbolici esoterici. La ricerca, anche se coinvolge il “mondo intero”, è comunque personale: in certi passaggi si è inevitabilmente soli. Poi, se in qualche modo sopravviviamo, possiamo tornare e raccontare al mondo la verità. Purtroppo penso che certe cose, per quanto si raccontino, non possono essere credute fino in fondo se non le si vive di prima persona. A volte, spesso, nemmeno chi le ha vissute poi, ridiscendendo dalla montagna, si crede ancora a ciò che si è visto.
Perfino la morte dello scrittore diventa simbolica: anche se avesse terminato il libro, nessuno l’avrebbe colto fino in fondo.
http://www.wolfghost.com
Caro Wolf, sì è una lettura affascinante… Gurdjieff l’ho letto subito dopo e anche l’esperienza di Peters (la mia fanciullezza con Gurdjieff)…
ogni percorso di ricerca interiore credo sia unico e al tempo stesso universale, quello che poi si riesce a trasmettere dipende anche dalla sensibilità dell’interlocutore, perché i mezzi che si hanno a disposizione (parole, espressioni, gesti) sono molto limitati rispetto all’esperienza vissuta…
un abbraccione
Sono d’accordo, ogni “passaggio” di insegnamento significa modifica dell’originale, d’altronde è inevitabile poiché un vero apprendimento significa fare nostro l’argomento insegnato e quando una cosa diviene nostra è automaticamente modificata dalla soggettività.
Sì è così anche per me. Di Gurdjieff ho letto solo Incontri con uomini straordinari, ma Daumal e Il monte analogo francamente li ho trovati superiori…
un abbraccio
P.S.: anche io avevo letto il libro di Peters, anche perché, diciamolo apertamente… i libri di Gurdjieff sono così particolari da essere difficilmente leggibili! 😀
Una presentazione interessante di un libro che anche questa volta non conoscevo, come non sapevo di quest’autore, ma tu che vai alla ricerca con spirito da segugio riesci a trovare delle chicche preziose.
La montagna, il viaggio verso l’infinito, la montagna che congiunge il cielo con il mondo immaginario dell’eternità, la montagna ha il suo effetto e Daumal colpisce il lettore con il suo racconto fantastico. La domanda finale è rivolta a tutti noi, “cosa cerchiamo”? Sarebbe bello poter elevarsi al cielo e mediante una montagna entrare in contatto con Dio, sarebbe come valicare l’impossibile per conoscere ciò che a noi è sconosciuto.
Grazie, cara, per questa bella evasione e per le tue interessantissime considerazioni.
Buona serata domenicale
un grande abbraccio
annamaria
Cara Annamaria, mi piace molto spulciare i cataloghi, spesso si trovano autori poco conosciuti ma validissimi, mi fa piacere poi sperimentare insieme a voi…
grazie e un abbraccione
Un altro magnifico post, che tratta di un argomento – o piuttosto di una gamma di argomenti – che sento profondamente miei, a partire dal concetto esoterico della montagna e dal diverso significato attribuito alla morte, che per me come per Epicuro non esiste, in quanto rappresenta l’antitesi alla vita e come tale non ha ragione di esistere.
Cara Ale, sono decisamente d’accordo con te…
baci
E’ un libro da leggere, sicuramente, né il fatto che sia incompiuto gli toglie valore, come “Le anime morte” di Gogol.
Un grande bacione, cara amica!
Infatti… anche se si resta un po’ delusi perché è talmente piacevole da leggere che si vorrebbe andare avanti… ma il valore del testo rimane intatto.
bacio
Nei viaggi che faccio cerco di capire in che cosa (o dove) la gente a me straniera trova il piacere di vivere.
Nicola
Caro Nicola, anche questo è un modo per assecondare l’inevitabile ricerca interiore che ci spinge ad andare, ad addentrarci in qualcosa di apparentemente estraneo per capire poi meglio noi stessi…
un abbraccio
Uno dei libri più completi che io abbia letto. Potrebbe sembrare un paradosso se rapportato alla sua incompiutezza, eppure è assolutamente quanto mi ha trasmesso.il suo Autore, a dir poco, geniale.
Lo metterei tra quelli capaci di “risvegliare” anche chi pensa di essere desto e non sa di dormire.
Trovo che sia uno dei libri più allegorici, ma di un simbolismo articolato e aperto a ogni variante.
Si parte in otto, nell’otto dell’infinito orizzontale, dalla linea da cui si inizia ad ascendere, e l’otto s’innalza diventando il doppio speculare di ogni cosa.
Capovolgere l’infinito è trovarsi ancora nell’infinito, dove la consapevolezza non ha punti referenti se non il proprio centro.
È nel cercare, il destino dell’uomo, nell’inerpicarsi e discendere, nello scorgere vette e poi scorgerne altre ancora, sempre più alte: una metafora oscillante tra le due scadenze certe, nascita e morte, limite apparente, poiché nulla sappiamo del prima e del dopo, o forse non ne conserviamo traccia, per chissà quale scopo.
Ci sembra di percorrere il versante di una sola individuale esistenza, ma forse siamo noi stessi analoghi, isole aguzze in uno spazio curvo che ci impedisce la visione del nostro vero essere, che di fa dirottare verso minimi sprazzi sensoriali e ci impedisce l’unica vera ascesa, il raggiungimento del nostro vertice, il contatto con ll Sé.
Ti ringrazio per avermi dato l’opportunità di leggerlo.
Ha rappresentato una sintesi di tutto quanto ho appreso finora nella mia lunga e ardua scalata-traversata.
Un abbraccio “infinito”
cri
Cara Cri, scusa per l’imperdonabile ritardo con il quale rispondo al tuo bel commento, anche se abbiamo parlato a lungo attraverso altri canali a proposito di questo libro sorprendente. Non avevo pensato all’otto dell’infinito, anche se mi sono resa conto che, per quanto breve e incompiuto, si tratta di un libro che fa riaffiorare nel tempo sempre nuove riflessioni, anche quando si credeva di averlo ormai rivoltato come un calzino…
grazie, un bacio e un abbraccio
Ciò che mi ha più colpito e interessato è il fatto che gli scalatori tornano indietro per preparare chi è rimasto alla tappa precedente. Il sentiero è solitario. Ma nello stesso tempo siamo tutti interconnessi, intricati, interdipendenti. Altrimenti, che Unico sarebbe?
Infatti secondo me è uno degli aspetti più importanti del libro e certamente quello che mi ha fatto riflettere a lungo…
Che cosa cerco? Probabilmente se l’avessi già capito, sarei già arrivato.
O forse il gioco prevede che si cerchi sempre e non si arrivi mai…
Probabilmente è così. Anche se forse il gioco prevede anche che sia proprio l’illusione di una Vetta, il fantasma, la fantasia di una Vetta, in fondo, a spingerci più oltre nel cammino…
P.s.: il tuo blog è molto interessante. Ho deciso di metterlo nell’elenco dei miei blog preferiti. Se ti va, dai un’occhiata al mio e vedi se ti va di fare altrettanto.
Grazie Diogene, certo che mi va, ti inserisco subito. Purtroppo mi hai trovata in un momento in cui sono in “pausa da blog” e quindi poco presente, ma non perdo certo l’occasione di un contatto così interessante e profondo… (ti avevo già notato attraverso il blog di ettore fobo!)
un abbraccio
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